Il mito di Fidel Castro nasce per due ragioni. la prima prima è che già nei primi anni della rivoluzione riuscì a conquistare una bella fetta di intellettualità di sinistra, sia europea che americana. I suoi due ammiratori più famosi sono Ernst Hemingway e Jean Paul Sartre. E cioè uno degli scrittori più ammirati d'America e il pensatore numero 1, in quell'epoca, nell'intellighenzia europea. La seconda ragione sta nell'enorme carisma che a partire dalla metà degli anni sessanta Castro esercità su una intera generazione di giovani di sinistra, quella nata dopoi l1945.Nel 1968, il suo nome e la sua immagine, più ancora, forse, di quelle di Mao Tse Tung e di Ho Chi Minn, dominarono la grande rivolta giovanile in tutto il mondo occidentale, soprattutto dopo la morte del suo compagno d'armi, Ernesto Che Guevara - che in realtà era entrato in forte dissenso con lui, ma di questo si è parlato sempre molto poco - caduto in Bolivia, nell'ottobre del 1967, mentre faceva la guerriglia al regime di destra del caudillo Barrientos. La figura mitica e un po' eroica del Che ebbe un riverbero su Castro che sicuramente ne aiutò il successo mondiale.E così ancora oggi, dopo quasi sessant'anni di dittatura, c'è una fetta consistente della sinistra, in ogni parte del mondo, che non considera Castro un dittatore, ma pensa che sia stato un leader, un rivoluzionario e basta. E che, solitamente, giustifica alcuni suoi eccessi autoritari con le difficoltà economiche e politiche nelle quali ha vissuto Cuba, con la drammatiche condizioni in cui l'isola versava nel 1959, quando lui prese il potere, aggravate dal blocco economico - sciagurato: davvero sciagurato - imposto dagli Stati Uniti, eccetera eccetera.Eppure non c'è molto da discutere. Le differenze tra democrazia e dittatura non sono un fattore molto opinabile. La democrazia prevede che il potere politico sia legittimato da libere e frequenti elezioni, e che tutti i cittadini godano delle più ampie libertà individuali. Queste due condizioni, a Cuba, non si sono mai realizzate. La democrazia è mancata, il pluralismo non è stato neppure immaginato, il dissenso è stato represso in alcuni periodi (come quello attuale) in modo soft, in altri periodi in modo durissimo, con imprigionamenti e anche fucilazioni, fuori da qualunque idea di Stato di diritto.Certo, la spietatezza della dittatura a Cuba non è paragonabile alla ferocia di altre dittature latinoamericane della seconda metà del novecento, come quella cilena o quella argentina, né, naturalmente, alle grandi dittature europee della prima metà del secolo, come quella di Hitler o quella di Stalin. E questo forse ha aiutato Castro a costruire la sua leggenda. E' sempre stato considerato un dittatore un po' più presentabile di altri. D'accordo. Ma un dittatore - a me sembra - comunque è un dittatore: si può cercare di capire il senso del suo regime, di valutarne i risultati, di soppesare il processo storico dentro il quale ha realizzato la sua azione politica, benissimo: ma come si può considerare una dittatura, o il suo protagonista, come un esempio per le lotte e gli ideali politici persino in paesi molto lontani e dove, certamente, il livello delle libertà è assai superiore?E' questo il grande mistero del castrismo. L'inspiegabilità del suo fascino. Cioè del fascino che ha esercitato su fette vaste dell'intellettualità e su grandi strati anche di popolo.La figura di Castro non è controversa come quella di Che Guevara. Il quale certamente ha avuto delle responsabilità serie nei primi anni del regime castrista, dopo la rivoluzione. Ha partecipato alla dittatura in modo attivo, da protagonista. Poi però ruppe con Castro, perché non condivideva la subalternità all'Unione sovietica, e se ne andò in giro per il mondo a compiere azioni, forse demenziali, ma sicuramente molto suggestive, persino eroiche, di lotta a viso aperto contro vari regimi reazionari e autoritari, in Africa e in America Latina. Logico che Guevara sia diventato una figura leggendaria per la gioventù che proprio in quegli anni decideva di ribellarsi ai valori del capitalismo, di quello che si chiamava imperialismo, all'arroganza della superpotenza statunitense. Che Guevara aveva disdeganto il potere, dopo averlo conquistato, e aveva scelto la guerriglia. Questo ne spiega comunque il carisma.Ma Castro? Ha governato 60 anni, ha lasciato il suo paese in una condizione di fortissima povertà, ha annientato le libertà, ha perseguitato i suoi nemici, ha sviluppato una fortissima retorica nazionalista e militarista. Come ha fatto a diventare l'icona della sinistra?Ci sono, credo, due spiegazioni.La prima riguarda il grande equivoco di quegli anni, la seconda il rapporto difficilissimo tra la sinistra, in tutto il mondo, e l'idea di libertà e di diritti.L'equivoco consiste nella ricerca di una "potenza" al di fuori del capitalismo e al di fuori del gigante burocratico sovietico. La gioventù che alla fine degli ani sessanta si ribellò al "dominio culturale" della borghesia, a partire dal movimento americano degli Hippy, e poi dalle organizzazioni afroamericane, e poco più tardi dai grandi movimenti studenteschi europei (soprattutto quelli tedeschi, francesi e italiani) partì da ideali ultra-libertari ("vietato vietare", l' "immaginazione al potere", "il libero amore", "la libera droga"). Questi ideali la misero in contrapposizione con il capitalismo, ma anche con la burocrazia sovietica. E allora si scelsero icone comuniste lontane da Mosca. E il paradosso fu che queste icone o (come Mao Tse Tung) erano ancora più illiberali del comunismo sovietico e brezneviano, o, come Castro, ne erano assolutamente subalterne.La seconda spiegazione è la più importante. La sinistra europea, e forse anche americana, ha sempre avuto un rapporto difficile con l'ideale della libertà. Non solo lo ha sempre messo in secondo piano, rispetto all'ideale dell'uguaglianza, ma lo ha anche - seppure forse mai in modo dichiarato - messo in contrapposizione alla sua politica. La libertà vista come uno strumento di affermazione individuale, e dunque nemica del "collettivo" e della socializzazione": da combattere. E i diritti individuali ostacolo ai diritti collettivi: un lusso, nel migliore dei casi.E' ancora così, in gran parte. Appena 10 anni fa, in occasione dell'ottantesimo compleanno di Castro, Pietro Ingrao - isolatissimo - rimproverò la sinistra che lo osannava. Disse: «E' un dittatore, non si esalta un dittatore». Gli risposero che non capiva il fenomeno storico. Così come, proprio ieri, gli ha risposto in un'intervista al "Corriere" Gianni Minà, giornalista sportivo. Ingrao - ha detto - non capiva.Troppo leggero, evidentemente, il pensiero di Ingrao di fronte al pensiero complesso di Minà. Non c'è mica tanto da stupirsi, poi, se un po' in tutto l'occidente la sinistra è in crisi e priva di leadership e di punti cardinali.