Sarebbe significativo e quasi magico se Jerome Silberman, scomparso il 29 agosto all'età di 83 anni, troppi dei quali spesi a combattere prima la sclerosi multipla e poi l'Alzheimer, avesse scelto il proprio nome d'arte, nel 1959, come omaggio a Billy Wilder. Non è così. Il nome "Gene Wilder" è sì un omaggio, ma a Thornton Wilder, lo scrittore preferito di Jerome/Gene. Giovane attore fresco di metodo e Actor's Studio, figlio e nipote di ebrei russi emigrati nel Wisconsin, Jerome decise di rifarsi il nome perché il suo gli pareva poco adatto a campeggiare nei cartelloni del Macbeth. Poi scoprì che anche il nuovo nome non è che c'azzeccasse molto con il teatro elisabettiano. In compenso era perfetto per quel tipo di comicità tra slapstick e surreale, a volte quasi volgare in apparenza ma sempre principesca nella sostanza, che a Hollywwod contava già un manipolo di autori geniali, quasi tutti ebrei di provenienza russa o mitteleuropea tra cui Billy Wilder. Avevano già piantato le pietre miliari della comicità holywwodiana. Avrebbero continuato a farlo nei decenni seguenti.La scuola di Gene era la migliore: una linea genealogica che parte da Ernst Lubitsch, e probabilmente ancora prima dal gigante del muto Erich Von Stroheim, e arriva a Billy Wilder, a Mel Brooks, alla produzione migliore di Woody Allen, alla grandissima Nora Ephron. Il marchio di Lubitsch era vistosissimo già in The Producers, la prima collaborazione di Gene e Mel Brooks, una di quelle coppie che non riesci a parlare dell'uno senza che ti venga subito in mente l'altro. Si erano conosciuti grazie ad Anne Bancroft, la futura Mrs. Robinson, allora fidanzatina di Mel Brooks e interprete in teatro con Gene del brechtiano Madre Coraggio. Fu amore a prima vista e Brooks, che stava lavorando a Primavera per Hitler, gli promise che se mai fosse riuscito a portarlo sul palcoscenico o sullo schermo lo avrebbe chiamato a interpretarlo. Ci vollero tre anni, e a chiamare Gene per quello che sarebbe diventato l'insuperato capolavoro del politicamente scorretto The Producers, in Italia Per favore non toccate le vecchiette, non fu l'amico Mel ma un gigante di Broadway come Zero Mostel, uno che aveva visto la carriera stroncata per dieci anni e passa quando, interrogato come sospetto rosso dalla Commissione per le Attività anti-americane, aveva cortesemente declinato l'invito a salvarsi denunciando qualche collega sovversivo: «Sorry, ma la mia religione ebraica non consente delazioni".Brooks, Mostel e Wilder resero The Producers tanto immortale che quando nel 2001 lo stesso Brooks decise di portarlo a Broadway fu un trionfo che ancora continua, e il remake diretto per lo schermo dalla coreografa Susan Stroman ha quasi bissato il successo dell'originale. Quel film guardava a Lubtisch, il regista ebreo che nel 1942 aveva sfidato tutti le norme del culturalmente e politicamente accettabile in Vogliamo vivere!  (il cui remake proprio Mel Brooks avrebbe interpretato 40 anni dopo): in piena guerra ironizzava su Hitler e sul nazismo, nel cuore del perbenismo americano esaltava l'infedeltà, dimostrava che su tutto si può e si deve saper ridere. Era il degno allievo di quello Stroheim che in Queen Kelly, anno di grazia 1928, aveva diretto la scena a tutt'oggi forse più sfacciata della storia del cinema: quella in cui l'elastico delle mutadine della protagonista, Gloria Swanson, si strappa di fronte al principe e lei, invece di avvampare di vergogna, se le sfila e le lancia al quasi sovrano che, prima di intascarle, non manca di annusarle a fondo.Lubitsch, Billy Wilder, Brooks e Gene Wilder, ciascuno a modo proprio, avevano la stessa capacità di stracciare nei loro film il paravento ipocrita del perbenismo bugiardo. Guardavano la realtà a nudo ma, a differenza del tragico Stroheim, sapevano riderne e usarla per far ridere. Il miglior frutto del sodalizio tra Gene e Mel, Frankenstein jr., scritto a quattro mani partendo da un'idea di Wilder, è un'enciclopedia di tutto quanto fa politicamente scorretto. Entrambi sapevano che per infrangere i pregiudizi sulla deformità, sul colore, sulla razza o sulle tendenze sessuali la strada non è l'imposizione per decreto ma il saperne ridere.Come regista Wilder ha diretto quattro film tra cui uno ottimo, Il fratello più furbo di Sherlock Holmes, e uno meno buono ma di grandissimo successo, La signora in rosso. Prima che la sclerosi lo costringesse al ritiro ha avuto tempo di costituire una delle ultime grandi coppie comiche del cinema americano, con Richard Pryor: uno che veniva dal ghetto nero invece che da quelli europei ma condivideva in tutto e per tutto il graffio dissacrante dei grandi comici ebrei come Gene Wilder.