Essere grandi artisti significa anche sapersi mettere in discussione. Così i più famosi cineasti belgi, Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno deciso di riprendere in mano La Fille Inconnue - La ragazza senza nome e tornare a lavorarci dopo aver presentato il film a Cannes con un successo minore rispetto a quello a cui i registi due volte Palma d'oro sono abituati. Con sette minuti in meno e maggior dinamicità, la pellicola, da oggi nelle sale italiane, pone nuovamente al centro dell'attenzione una protagonista femminile, come era stato per Due giorni, una notte con Marion Cotillard. Ad Adèle Haenel il compito di raccogliere l'eredità dell'attrice francese premio Oscar e tenere le redini di un film che punta e grava totalmente su di lei.Finito il turno in ambulatorio la dottoressa Jenny Davin non apre ad una paziente arrivata oltre l'orario di visite. La scoperta della morte della donna, la cui identità si rivela sconosciuta, genererà nel giovane medico un profondo senso di colpa.Alla ricerca del modo di perdonarsi, di assoluzione per i propri peccati, la protagonista inizia un'indagine per scoprire non solo il nome di questa donna ma anche il mondo che le viveva intorno per restituirle veramente un volto, un carattere, degli affetti e per darle un degno e dovuto addio.Al racconto del quotidiano che i fratelli Dardenne padroneggiano come pochi, si aggiungono le sfumature del noir che rendono il percorso della protagonista costantemente imprevedibile. L'indagine è scandita dal lavoro di Jenny, dalla sua cura per i pazienti, dai gesti ripetitivi e dagli stessi e anonimi vestiti indossati senza attenzione. Il citofono dell'ambulatorio però, fa da contrappunto alla routine e ci ricorda il senso di colpa che pervade non solo la giovane dottoressa ma anche molti degli abitanti della città, ingrigiti dai segreti.Jean-Pierre e Luc Dardenne sono venuti a Roma a raccontare il loro processo creativo, la nuova fascinazione per il noir ed il ruolo di un cineasta nella società.Come nasce "La ragazza senza nome"?Luc Dardenne: L'idea è nata da un personaggio che avevamo in mente da diverso tempo, quello di un medico. Una dottoressa che per il lavoro che fa ha come missione quello di aiutare la vita a continuare il più a lungo possibile e di allontanar la sofferenza e la morte. Nel film invece si trova a sentirsi in colpa proprio perché è in qualche modo coinvolta nella morte di questa ragazza senza nome.Si sente responsabile di una invisibile, di una persona di cui non sappiamo nulla a partire dal nome.Luc: A partire dall'idea di questa dottoressa immediatamente abbiamo legato un altro personaggio, una nera africana che non ha nome. Da li nascerà tutta la ricerca della donna per darle un nome, la mettiamo in una situazione concreta che richiama ai tanti senza nome che si trovano in Europa adesso.Avete pensato subito che la scelta della vittima avrebbe dovuto essere un'immigrata o sono stati i fatti di cronaca a condurvi verso questa decisione?Jean-Pierre: Avevamo immediatamente pensato ad un'immigrata senza documenti e dunque clandestina e questa idea ci è venuta per la situazione che viviamo oggi. Vent'anni fa probabilmente non ci sarebbe venuto in mente di pensare ad una ragazza che muore senza documenti vicino ad un corso d'acqua.Ciò che la spinge è il senso di colpa ma anche il sentirsi paradossalmente legata a questa donna nella solitudine?Luc: Sì, possiamo dire che senta anche questo legame di solitudine ma quello più forte deriva dal senso di colpa che lei prova per non aver risposto a questo campanello che suonava. Questo il motivo per cui non ci siamo interessati della vita privata di questa giovane dottoressa al di fuori di questo contesto. Il senso di colpa le permette di accedere agli altri perché arriva a suscitare lo stesso senso di colpa anche negli altri che a loro volta superano i propri interessi personali in favore della verità.Può questa storia indurre lo spettatore ad incominciare ad interessarsi agli altri, a sentirsi responsabile del loro destino?Jean-Pierre: Posso rispondere soltanto restando nel nostro ruolo di cineasti. Quello che speriamo di suscitare con il film è che allo stesso modo con cui la ragazza senza nome è presente nella mente della dottoressa, anche lo spettatore possa arrivare a fare una serie di riflessioni senza riuscire a scacciare questa immagine.Solo mostrando gli immigrati come avete fatto, capaci di sentimenti esattamente come i nostri, si può arrivare alla vera accettazione?Jean-Pierre: Assolutamente, non abbiamo mai inteso fare un film dove mostriamo gli immigrati buoni e gli europei cattivi ma l'esatto contrario. Mostrare gli immigrati come noi, gli stupidi e i meno stupidi proprio come nella nostra realtà e unire tutti sotto il senso di colpa, porta ad un senso maggiore di comprensione e di conseguenza, accettazione.Come e perché avete scelto Adele Haènel?Luc: È grazie a lei che abbiamo finalmente fatto il film. L'avevamo incontrata a Parigi per caso e ci aveva colpito il suo volto così ingenuo, fresco e innocente, dotato di una franchezza nel modo di guardare, nel suo sguardo diretto. Ci siamo detti che se Jenny fosse stata più giovane, grazie al rapporto che è capace di instaurare con i suoi pazienti, con il suo sguardo potrebbe induli di farro a parlare. Il suo è un viso che suscita il desiderio di essere schietti e sinceri. A lei interessava fare il film e siamo stati felici di lavorare insieme a lei.Dopo Cannes avete deciso di rimontare il film, perché questa decisione?Jean- Pierre: Prima ancora di andare a Cannes avevamo in mente di tagliare una parte di una sequenza del film. L'accoglienza del film al Festival è stata tiepida e gli amici ci hanno detto che forse era un problema di ritmo. Era una cosa che ci assillava sin dall'inizio perché per noi era importante che ci fosse un equilibrio tra la vita privata di Jenny che coincide con l'indagine per dare un identità a questa ragazza e l'esercizio della professione medica. Rientrati da Cannes, ci siamo ritrovati a fare un taglio di sette minuti totali. Questa versione crediamo ci permetta di entrare maggiormente nella mente di Jenny.