«Partinico, 27 novembre 1955. A tutti. Invito ogni persona che ha una responsabilità, che sente di avere una responsabilità pubblica, a digiunare almeno per un giorno per rinfrescare alla sua memoria, se mai l’abbia saputo, cosa significa stare digiuno – come troppo spesso stanno milioni di nostri fratelli, bambini e vecchi compresi, nel mondo, in Italia».

È l’incipit del testo di Danilo Dolci – riportato poi nel suo libro del 1956, Processo all’articolo 4 – con cui comunicava l’inizio della lotta nonviolenta in Sicilia per il lavoro. Per le scuole e il lavoro. «Almeno: 1) occorre mandare tutti i piccoli fino a quattordici anni a scuola: trasformando le attuali cosiddette scuole, in scuole vere che si può; 2) occorre assistenza alle famiglie dei carcerati e dei «banditi» ; 3) occorre quindi dare lavoro subito ai disoccupati».

In uno dei luoghi a più alto tasso di “criminalità”, Partinico, Palermo, Sicilia, Dolci si batte perché il lavoro possa costruire quella dignità che manca, perché la scuola possa educare i ragazzi a desiderare un futuro migliore. Il 30 gennaio 1956 Danilo Dolci, «noto agitatore politico», organizza lo sciopero della fame «nonostante sia stato diffidato a verbale ad astenersi da qualsiasi manifestazione in quanto non autorizzata». Anche se dispersi dalla polizia i pericolosi manifestanti si ostinano a digiunare.

A metterci il carico da undici, la sera dell’ 1 febbraio il giornale L’Ora di Palermo annuncia per l’indomani lo sciopero alla rovescia. A centinaia vanno verso la “trazzera vecchia”, distante tre chilometri del paese e iniziano i lavori di sterramento. Intimati a fermarsi, non ubbidiscono. Partono i regolamentari tre squilli di tromba e poi le cariche. Dolci e i suoi non si muovono, trascinati a forza.

Alla rovescia, perché spiegherà Dolci, noi avevamo “il dovere” di riparare la trazzera, richiamandosi all’articolo 4 della Costituzione che recita: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

Processati, interverranno intellettuali come Vittorini, Levi, Bobbio, Calamandrei a deporre a suo favore.

Chissà se Pannella pensava alla straordinaria figura di Dolci quando iniziò il suo primo sciopero della fame.

«Cari amici, vi comunico che a partire da lunedì 10 novembre inizierò, con il compagno ed amico Roberto Cicciomessere della Lid di Roma ed esponente del partito radicale, in attesa che eventualmente altri compagni possano associarsi a questa iniziativa, uno sciopero della fame ad oltranza». È l’articolo de Il Divorzista dell’ 8 novembre 1969. Pannella si è reso conto che il dibattito parlamentare sul divorzio non è prioritario ma, in realtà, è condotto come se fosse una noiosa e fastidiosa incombenza da eludere e svuotare. Peraltro, c’è il rischio di una nuova crisi di governo e questa darebbe ottime ragioni per eluderlo. Decide di fare qualcosa. A modo suo. Come farà per anni. Anche minando il proprio fisico.

Lo sciopero della fame è un’esperienza durissima, che mina il fisico, il normale funzionamento del metabolismo, e spesso – se sopravvivi – lascia danni irreparabili e permanenti. Quando è prolungato, dopo un certo numero di giorni, subentra peraltro uno stato di eccitazione dei sensi che sembra dare lucidità, ma è uno stato di esaltazione, se così si può dire in quanto in realtà il fisico è fortemente frustrato, che finisce con il creare un senso di assolutezza: sei determinato a andare avanti fino alla fine perché le tue richieste vengano accolte, benché tu sappia con certezza che la fine può essere la tua morte.

Io credo che in una situazione simile si sia trovato – e parlo di cronaca di questi giorni – Doddore Meloni, l’indipendentista sardo arrestato il 28 aprile scorso per reati fiscali proprio mentre andava a costituirsi e che aveva subito iniziato lo sciopero della fame e della sete, era stato ricoverato temporaneamente in alcune strutture ospedaliere, era tornato in carcere dove aveva continuato la sua forma di protesta, fino alla morte il 5 luglio: sessantasei giorni di sciopero della fame.

Benché il suo avvocato avesse fatto presente la situazione che sembrava senza vie d’uscita se non la concessione degli arresti domiciliari, l’istanza era stata respinta dal Tribunale di sorveglianza: le condizioni del carcere erano compatibili. Doddore Meloni – nove anni di detenzione per un “complotto indipendentista sardo”, un coinvolgimento in indagini sugli indipendentisti veneti, una clamorosa forma di protesta, quando insieme a una decina di persone occupò poco più che uno scoglio proclamando la Repubrica di Malu Entu – è morto nel silenzio generale.

Di sciopero della fame si può morire. Se ne può morire come accadde a Holger Meins, membro della Rote Armee Fraktion, detenuto in attesa di un processo che non veniva mai fissato e che decise di prote- stare. Dopo due mesi di sciopero della fame, il 9 novembre 1974, Holger Meins morì. Era alto un metro e ottantatré centimetri e pesava ormai solo trentanove chili.

Di sciopero della fame morì Bobby Sands, dell’Ira, arrestato nell’ottobre del 1976 e detenuto insieme a decine di prigionieri politici irlandesi nel carcere di Maze, nel famigerato H- Block.

Era proprio questo status di prigionieri politici che lui e i suoi compagni volevano venisse ripristinato ( il governo l’aveva abolito per tutti i reati dopo il marzo del 1976) e che le autorità inglesi non avevano alcuna intenzione di concedere. Avevano iniziato con la “protesta delle coperte”, rifiutando di indossare le divise dei detenuti e coprendosi solo con le coperte del carcere; poi avevano continuato con la “protesta sporca”, imbrattando i muri delle celle con i propri escrementi, dato che ogni volta che dovevano buttare il bugliolo le guardie li pestavano; il 27 ottobre 1980 iniziarono il primo sciopero della fame. Lo smisero, dopo cinquantasei giorni, quando la Thatcher formulò delle vaghe promesse che, comunque, non mantenne.

Allora, 1 marzo 1981, iniziò il secondo sciopero della fame – e stavolta i detenuti in sciopero furono diversi e iniziavano a intervalli regolari, così da allargare e allungare la protesta. Fu durante questo sciopero che Bobby Sands fu eletto al parlamento inglese il 9 aprile 1981 con 30.492 voti. Ma solo tre settimane dopo, dopo sessantasei giorni di sciopero della fame, Bobby Sands morì. Altri nove uomini morirono dopo Bobby Sands tra maggio e agosto del 1981.

Di sciopero della fame morì Mary Jane Clarke, una delle prime organizzatrici del movimento delle suffragette per ottenere il diritto di voto per le donne in Inghilterra e Irlanda che era stata arrestata il Black Friday del 1910: quando in parlamento si era discusso di concedere a un numero limitatissimo di donne il voto e le suffragette organizzarono una protesta. Furono assaltate dalla polizia, buttate a terra, palpeggiate con una violenza inaudita. Più di un centinaio di loro finì in carcere. E qui, Mary Jane iniziò lo sciopero della fame.

Ma il governo, che già aveva fatto una fuguraccia e che vedeva crescere un’opinione pubblica scandalizzata da quel comportamento brutale, pensò che non voleva una martire e decise per l’alimentazione forzata. Fu proprio l’alimentazione forzata – la bocca tenuta aperta a forza, intrugli calati giù per la gola con violenza – che uccise la Clarke.

Animati dallo stesso spirito inerme erano le proteste del Mahatma Gandhi. Ahimsa, non nuocere, era la parola chiave, lo spirito che animava la Satyagraha, la disobbedienza civile. Gandhi aveva studiato Thoreau, tra gli altri, e praticò con costanza l’idea della disobbedienza a leggi ingiuste e, spesso, stupide.

Fece lo sciopero del sale, una lunga marcia con migliaia e migliaia di poveri che si rifiutavano di pagare una tassa sul sale; fece lo sciopero dei vestiti, rifiutando di indossare vestiti “coloniali” e fabbricando da sé i suoi abiti; fu incarcerato diverse volte e fece diverse volte lo sciopero della fame, anche contro alcune leggi della nuova India indipendente.

Gandhi iscriveva questa sua pratica in una dimensione religiosa; a una stessa dimensione religiosa si richiamò apertamente Martin Luther King nella sua lunga battaglia per i diritti civili dei neri americani; Dolci prima e Pannella poi le diedero in Italia una dimensione laica.

E lo sciopero della fame, protesta drammatica, non ha mai smesso di essere uno straordinario strumento di lotta.