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Alla sua prima udienza come avversario gli capita il sostituto procuratore responsabile della sua condanna all’ergastolo che non nasconde lo smarrimento: «Ma come fai essere qui!?», esclama stupito. La risposta è folgorante: «Impegno e buona volontà. Non so quale sia il tuo metodo». In effetti Aaron Wallace, protagonista di "For Life", la serie scritta e ideata da Hank Steinberg, prodotta dal rapper 50 Cents e approdata da alcuni giorni su Netflix, è un monumento all’intelligenza e alla forza di volontà. «Non ha tempo per il dolore, non ha il tempo per la gioia e non ha nemmeno il tempo per la rabbia, è concentrato sul suo unico obiettivo: uscire dalla galera», dice il bravissimo Nicholas Pinnock, l’attore che presta il volto a Wallace. Arrestato ingiustamente per spaccio di droga e condannato alla prigione a vita perché non ha voluto patteggiare una pena a vent’anni. Wallace potrebbe sprofondare nella disperazione, nell’inerzia vuota della prigionia. Ma ha carattere e convinzioni di ferro; non si dà mai per vinto e invece di piangersi addosso lancia la sua sfida al sistema giudiziario. Così decide di studiare legge dietro le sbarre, per sette lunghissimi anni. Ottiene la licenza di penalista e diventa l’avvocato-detenuto grazie alla cieca determinazione e sospinto dalla stima della direttrice della prigione in cui è recluso, Safiya Masry, una riformista illuminata e coraggiosa che tenta di arginare dall’interno le iniquità e le spietatezze dell’universo carcerario americano. La vita in carcere, «un luogo dove le promesse si chiamano debiti», è un elemento centrale di For Life, l’occhio realista di Steinberg ci mostra i conflitti e le lotte di potere, tra i detenuti e tra chi fa funzionare la macchina infernale della prigionia, l’ottusità vendicativa delle guardie, il cinismo dell’amministrazione, l’iniziativa, spesso interessata e priva di scrupoli della procura. E lo fa senza retorica, senza piagnistei, con un tocco minimalista che compensa la verbosità, a tratti eccessiva, dello script.Wallace combatte per se stesso, certo, ma incarna il ruolo dei difensore con fervore e lucidità: «Sono un avvocato, farei di tutto per i miei clienti!». Nel corso della storia lavora per trovare le prove che possano scagionarlo, per dimostrare la sua innocenza, scontrandosi con l’immoralità del potente e corrotto procuratore della contea Glenn Maskins, il villain della pellicola, l’uomo che ha fatto a pezzi la sua vita e che aspira all’ambita guida della Procura generale. La moglie Marie lo ha lasciato per il suo migliore amico e in fondo non crede del tutto alla sua innocenza oppure ha smesso di farlo per non soffrire ancora di più, la figlia Jasmine, che quando venne arrestato era appena una bambina e ora è un’adolescente inquieta e problematica ma totalmente schierata dalla parte del padre, si ritrova incinta a soli 17 anni.La sua esistenza di persona onesta e benestante (prima dell’arresto era proprietario di una discoteca) non c’è più. Ma la strada per riscattarsi e ottenere giustizia non è la guerra solitaria, la catarsi hollywoodiana dell’eroe, il “metodo” di Wallace consiste nell’aiutare gli altri detenuti, i suoi compagni, afroamericani vittime come lui di condanne sommarie e di pregiudizi razziali. Non rifiuta neanche la difesa sconveniente di nazisti e suprematisti bianchi dal quoziente intellettivo di uno scimmione, attirando gli strali della sua «comunità» per il quale diventa un “traditore”, ma è un prezzo che paga volentieri perché il diritto e i diritti sono un bene superiore, l’esatta misura della democrazia: «Ho fatto ciò che dovevo: tutti meritano un giusto processo». For Life è liberamente ispirata a una storia vera, il terribile errore giudiziario ai danni di Isaac Wright Jr, arrestato nel 1989 con l’accusa di essere il boss di una rete di spacciatori di cocaina del New Jersey. Incastrato dalla polizia che ha nascosto le prove che lo discolpavano e perseguitato dal procuratore Nicholas Bissell, Wright Jr ha trascorso sette anni in prigione dove si è laureato in giurisprudenza e dopo aver ottenuto l’abilitazione professionale è riuscito a dimostrare con successo la sua innocenza (come quella di altri venti detenuti). Consulente della serie, nel 2020 si è persino candidato a sindaco di New York. Ci sono ben poche licenze letterarie nei tredici episodi che segnano la prima stagione e l’agognata rinconquista della normalità da parte di Aaron Wallace, ben poche le esagerazioni, le concessioni allo spettacolo, all’intimismo di maniera (il rapporto con la famiglia) o alle intemerate manichee, ogni scena, ogni intreccio è verosimile, spesso perché realmente accaduto, la narrazione resta lineare con episodi auto-conclusivi e una linea orizzontale che invece segue la vicenda personale del protagonista. For Life ci restituisce in tal senso un’impietosa fotografia della giustizia americana, bullizzata dalle ambizioni personali dei procuratori, dagli interessi politici e finanziari, dalla sciatteria dei giudici, da funzionari di polizia sadici e primitivi, da una burocrazia che schiaccia e umilia i detenuti senza un briciolo di umanità animata da feroci criteri sociali e razziali. La presunzione di innocenza è solo un vago miraggio mentre la giostra dei patteggiamenti seppellisce ogni anno miglia di innocenti delle prigioni federali. Un sistema malato, che consegna nelle mani dell’attorney un potere quasi divino e mai messo in discussione: «Noi giochiamo con la vita di tantissima gente, noi roviniamo tanta gente, ricordatelo sempre» si sfoga un vecchio collega di Maskins in quello che chiama « un sussulto di coscienza». Maskins però non gli darà retta e continuerà a perseguitare Wallace fino all’inevitabile sconfitta finale.