Piero Sansonetti, commentando il progetto grillino del dimezzamento dell'indennità parlamentare, che peraltro non è il solo emolumento dei deputati e dei senatori perché ci sono altre voci di entrata, ha giustamente indicato nella demagogia "la forma peggiore e più rozza dell'opportunismo politico". Essa procura voti grattando gli umori più viscerali del momento.Nel caso dei grillini, o come diavolo preferiscono essere chiamati quelli del Movimento 5 Stelle, temo tuttavia che ci sia anche dell'altro, e non solo della demagogia. Poiché essi aspirano addirittura a governare da soli, cioè conquistando la maggioranza assoluta del Parlamento, mi preoccupa il tipo di Parlamento, appunto, che perseguono. E che dovrà riguardare anche la minoranza, o le minoranze. Un Parlamento fatto di candidati scelti col sistema delle primarie elettroniche, al computer, da poche migliaia o centinaia di adepti e poi eletti col sistema delle liste bloccate o dei collegi uninominali, che considero personalmente una variante, anche se più presentabile perché quanto meno l'elettore trova stampati i nomi sulla scheda.Sarebbe un Parlamento completamente docile al Grillo o al Casaleggio di turno, che peraltro può attrarre, per gli scarsi emolumenti assicurati, solo persone - diciamo la verità - senza grandi ambizioni e competenze.Persone che nei partiti normali, almeno quelli tradizionali di cui come giornalisti non più giovani eravamo - ahimè - abituati a interessarci, avrebbero potuto fare, al massimo, gli uscieri, i custodi, gli autisti, gli impiegati. Non certo i funzionari, dei quali confesso di avere sempre più rimpianto ad ogni rinnovo delle Camere, cioè a ogni abbassamento del livello dei loro componenti, come impietosamente ha osservato di recente il mio disincantato amico e professore Antonio Martino.Fra tutti i partiti, sempre quelli tradizionali, era il Pci il più abituato a ricorrere ai funzionari nella preparazione delle liste dei candidati, che comunque dovevano guadagnarsi, quanto meno alla Camera, i voti di preferenza. La disciplina di partito, certo, li aiutava ma non poteva bastare. Erano comunque funzionari - vi assicuro, da giornalista che non ha mai votato per il Pci - di tutto rispetto, che facevano la loro bella figura accanto ai parlamentari, diciamo così, eccellenti che il partito portava a Montecitorio e a Palazzo Madama, scegliendoli tra professori, intellettuali, avvocati eccetera. Erano funzionari selezionati con serietà, passati per scuole di partito dove la disciplina era superiore a quella delle scuole statali o private dove mandavamo i figli a studiare o eravamo passati noi stessi. Funzionari che individuavi subito, all'inizio di ogni legislatura, per il rispetto col quale accedevano alle istituzioni: altro che la sfrontatezza, la supponenza, l'aggressività, lasciatomelo dire, di tanti delle ultime legislature, specie l'ultimissima. Che per correre dalla buvette di Montecitorio all'aula dove sono in corso votazioni ti danno spintoni di tale forza da mandare a terra il telefonino o l'ipad che avevi in mano, e non si sentono nemmeno in dovere di chiederti scusa. Erano funzionari, infine, ai quali il partito poteva chiedere e ottenere di destinare buona parte dell'indennità al suo funzionamento.Fra tutti quei funzionari, che mettevano la loro qualifica orgogliosamente nella cosiddetta Navicella alla voce della professione, ne ricordo uno con particolare nostalgia: il toscanissimo Leonello Raffaelli. Era un mostro di bravura nel settore affidatogli dal Pci: quello economico e soprattutto fiscale. Vi erano eccellenti ministri delle Finanze, del Tesoro e del Bilancio, con nomi che da soli ti mettevano soggezione, terrorizzati però all'idea di dovere rispondere nelle varie commissioni, o aule, alle osservazioni o critiche di Raffaelli. Che entrava ogni giorno a Montecitorio di prima mattina con quattro, cinque giornali sotto braccio che aveva già letti.Diavolo di un uomo, non sono mai riuscito a pagargli un caffè alla buvette, dove spesso proseguivamo le chiacchierate cominciate nel cosiddetto Transatlantico. Mi diceva che non poteva farsi pagare una consumazione da un giornalista "borghese", pur spiegandomi che non lo dovevo prendere per un aggettivo offensivo. E così continuò a chiamarmi anche quando si accorse, piacevolmente, che ero un estimatore e amico di Aldo Moro: "borghese" pure lui, "senza offese", aggiungeva con un sorriso.A questo mondo e tipo di Parlamento i grillini pretendono di sostituirne un altro di pasta non solo demagogica, come la definisce il mio amico Piero Sansonetti, ma primitiva.Il buon Emanuele Macaluso ha ragione quando lamenta le difficoltà che mostra il Pd ad opporsi a quest'orgia di demagogia, anche se i piddini hanno appena avuto il coraggio di rimandare in commissione il progetto grillino. Ma ancor più mi ha stupito l'inseguimento dei pentastellati da parte dei forzisti, che anche per non abbandonare il fronte del no referendario alla riforma costituzionale, hanno votato con leghisti, destra e grillini, appunto, contro il rinvio del progetto in commissione.Lo spettacolo dei forzisti nell'aula di Montecitorio mi ha un po' ricordato quello di un telegiornale dell'allora Fininvest il cui direttore aveva mandato in postazione fissa, durante gli anni delle inchieste chiamate Mani pulite, davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, un inviato. Che avendo alle spalle i tram che sferragliavano e gli coprivano la voce, elencava con compiacimento come bollettini di guerra gli avvisi di garanzia appena notificati o gli arresti appena eseguiti, e ne preannunciava di nuovi per le successive edizioni. Era una penosa rincorsa degli ammiratori di Antonio Di Pietro, di cui una volta mi lamentai con un pezzo da novanta dell'azienda sentendomi dire che era la bellezza di una televisione "popolare". Come le cosiddette democrazie dell'est che nel frattempo erano cadute.