A pochi giorni dalla fine della Mostra di Venezia dove il suo ultimo film, Jackie, era in concorso, Pablo Larraín è tornato in Italia per presentare Neruda, in uscita nelle sale il 13 ottobre. È il titolo prescelto dal Cile per rappresentare il paese nella corsa all'Oscar 2017 per il miglior film straniero e non stupisce visto che il film aveva suscitato un grande interesse di pubblico e critica allo scorso Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Realizateurs. Ci si chiede come sia possibile che un regista riesca a piazzare due film a due dei più importanti festival di cinema al mondo (Cannes e Venezia) che si tengono a distanza di quattro mesi l'uno dall'altro. La risposta è sicuramente la capacità di Larraín di far fruttare ogni singolo minuto del suo tempo per produrre e mettere in pratica ciò che conosce meglio: la magia del cinema.Per portare a compimento Neruda ci sono voluti cinque anni. Durante la scrittura e la pre-produzione Larraín ha confezionato ben tre titoli. No-I giorni dell'arcobaleno, uscito nel 2012, con protagonista Gael Garcia Bernal, concluse la trilogia sulla dittatura di Pinochet iniziata con Tony Manero e Post Mortem e fece guadagnare a Larraín la sua prima candidatura all'agli Oscar nella categoria miglior film straniero. Al Festival di Berlino nel 2015, arrivò El Club, film vincitore del Gran Premio della Giuria, ambientato nelle case dove la Chiesa Cattolica nascondeva i suoi preti pedofili. Dopo El Club, Larraín è riuscito anche a volare negli Stati Uniti per dirigere il suo primo film in lingua inglese, Jackie, con protagonista Natalie Portman.«Non ho idea di chi sia stato Pablo Neruda, è impossibile saperlo!». Questo il punto di partenza dell'anti-biopic per eccellenza, l'origine dell'approccio del più famoso regista cileno esistente a un'istituzione nel suo paese, un uomo che a detta di Larraín è non solo il poeta cileno più importante ma è diventato qualcosa che sta nell'acqua, nelle piante, nell'aria del Cile e nel corpo, nei capelli, nel sudore, nel sangue di ogni cileno. «Il film é come una poesia che dedico a lui con la speranza e col sogno di aver creato un poema che lui avrebbe potuto e voluto leggere»: la poesia di Larraín si concentra sul "nerudiano", così è stato definito l'insieme delle infinite facce del poeta cileno, l'amante delle donne, l'eccellente cuoco, il letterato, l'appassionato di romanzi polizieschi e gialli, il politico, il senatore, il diplomatico, il sognatore.Per riuscire a fondere tutte le anime di Neruda e catturarne un bagliore, Larraín ha scelto di guardare ad un particolare momento storico del Cile, il periodo in cui il poeta era un fuggitivo, in esilio nel 1948 negli successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. A narrare la fuga del poeta (interpretato da un maestoso Luis Gnecco), una voce fuori campo che si scopre lentamente essere quella di Oscar Peluchonneau, l'ispettore a cui spetta il compito di catturarlo.Grazie anche al montaggio eccellente di Herve Schneid, il film trova il perfetto equilibrio tra poesia e politica, tra realtà e sogno. Nel rapporto con sua moglie Delia del Carril (Mercedes Moran) che Neruda adorava, Larraín ci mostra il lato vanitoso ed egoista, quello di un uomo troppo concentrato a diventare leggenda per donarsi completamente a qualcun altro. Un istante prima lo vediamo coinvolto attivamente nella politica del suo paese ed un attimo dopo lo ritroviamo circondato da donne. Le mille sfumature di Pablo Neruda si riflettono nella combinazione di generi: è un road movie perché narra una fuga, è una commedia noir perché l'ironia è insita nella natura del poeta, è un giallo perché c'è sangue, c'è l'intrigo, c'è il mistero.Trasportati dalle parole di Peluchonneau però si rimane sempre sospesi in una dimensione onirica e sembra quasi scontato dirlo, poetica. L'ispettore è il figlio illegittimo di una prostituta e di un poliziotto, questo ci dice la sua voce nel susseguirsi di un gioco del gatto con il topo che sembra una danza, un valzer tra innamorati, un fondersi di personaggi. Non si incontrano mai, il poeta e l'ispettore, o forse sì, il regista cileno, con l'aiuto del suo fedele direttore della fotografia, Sergio Armstrong e lo sceneggiatore Guillermo Calderón sovrappone non solo i livelli narrativi ma soprattutto l'ambiente in cui gli avvenimenti si dispiegano.C'è un corpo disteso nella neve ma forse stiamo sognando. Neruda e Peluchonneau stanno per incontrarsi, potrebbero addirittura essere la stessa persona ma è qui che Pablo Larraín gioca con l'immaginazione dei suoi spettatori e Neruda diventa un film diverso per ognuno di noi. «La continuità per il cinema è pericolosa ed il realismo mi fa sentire in trappola» dice il regista. «Io preferisco fermarmi e non prendere posizioni, me ne sto figurativamente con il tipo che alla fine del film vediamo affacciato alla finestra, intento a fumare solo in questo albergo, con una luce al neon che lo illumina, come nei film noir. Mi lego a questa immagine solitaria, una solitudine che anch'io condivido».Perché ha ambientato il film in questo particolare momento nella storia del Cile in cui Pablo Neruda era un fuggitivo?Quando fai una pellicola d'epoca non puoi fingere di non sapere cosa è successo dopo, ovviamente questo film non lo stiamo facendo nel 1947 ma nel 2016 e questo ti dà il vantaggio, sappiamo cosa è successo dopo. È un film del dopo guerra, su di un paese che ha sofferto la devastazione dell'anima, dovuta all'ascesa al potere del "bastardo", di Pinochet. Quando Allende è andato al potere, è durato ben poco. In quello stesso periodo, durante il suo esilio forzato, mentre si postava da un posto all'altro, Neruda scrisse quello che per me è il libro che gli ha fatto vincere il Nobel, El Canto General. Neruda è conosciuto per le sue poesie d'amore ma credo che le sue opere più importanti siano quelle piene di rabbia, passione e politica che lui è riuscito a fondere. Se, un poeta attuale, pensiamo per esempio ad un americano, scrivesse una poesia contro Donald Trump oggi, nessuno la definirebbe letteratura. Neruda invece in El Canto General, scrisse poesie su capi di governo dell'America latina non in termini proprio amabili o gentili ma queste vennero considerate sia poemi che dibattito politico.Quando ha ricevuto il Nobel nel 1971, nel discorso di accettazione ha raccontato la storia del suo esilio e della sua fuga e poi ha concluso tutto con una frase molto bella: «Non so se ho immaginato tutto, l'ho sognato o l'ho scritto, ad ogni modo, è stato fantastico».Hai re-inventato un genere, il film non è un bio-pic, non parla solo del Neruda poeta, è una combinazione di generi diversi.Neruda era un appassionato di cucina, amava il vino, le donne, era un collezionista, viaggiava per il mondo e collezionava di tutto, era un grande lettore specialmente di gialli, aveva molte case in differenti parti del Cile. Ogni sua casa ora è un museo e tutte sono piene di oggetti ed opere magnifiche. Ha creato una visione cosmica e su quella ci siamo concentrati. Abbiamo cercato di portare la poesia al cinema. Ci siamo chiesti: Come riuscirci? È stato allora che ci siamo inventati il gioco della caccia all'uomo, che abbiamo costruito questi due personaggi che, in fondo, ne rappresentano solo uno.