Pubblichiamo di seguito un estratto dal libro: "Brigate rosse. Una storia italiana". Di Mario Moretti, Carla Mosca  Rossana Rossanda.

Perché non prendeste in esame la possibilità di liberare unilateralmente Moro? Avrebbe rotto con la Dc, avrebbe messo in difficoltà il Pci. Se si trattava di incrinare la scena politica, questo l’avrebbe modificata. Non si può giudicare col senno di vent’anni dopo. Nel 1978 la Dc era compatta sulle posizioni di Andreotti-Berlinguer, la spaccatura era fra Moro e tutti gli altri. Quanto sarebbe durata? Oggi sappiamo che i suoi amici al governo stavano occupandosi di come neutralizzarlo, farlo passare per matto. Avevano preso le loro brave precauzioni per ricondurre la pecorella all’ovile. Adesso sei tu a paventare una sindrome di Stoccolma… Il Moro che ci hai descritto si sarebbe ribellato a farsi trattare con psicofarmaci. E non sarebbe rientrato docilmente all’ovile. Se si fosse aperto un varco e l’avessimo liberato, come abbiamo fatto con altri, Moro sarebbe diventato presidente della Repubblica e la Dc non sarebbe stata demolita affatto. Forse, se si fosse creato il varco nel fronte della fermezza. Ma stiamo prospettando l’ipotesi che lo liberaste unilateralmente, mentre tutta la scena politica gli aveva detto “no”. Fra l’altro nei movimenti c’era stata una simpatia al momento del sequestro, sembraste figure vendicatrici, i nuovi Robin Hood. Ma quando si parlò di esecuzione, tutti vi chiesero di fermarvi e lasciarlo libero. Ah sì, è vero, verissimo. Quelli che hanno libertà di esprimersi dicono proprio questo. Immaginavano che si trattasse d’una partita, più o meno sportiva; se le stanno dando, ma poi suonerà il gong.  Non è stato molto serio. Sei ingeneroso. Avreste parlato al paese, lasciando Moro libero. Il paese chiedeva molte cose, delle quali la liberazione di Moro non era certo la più pressante. La sinistra che non stava nello stato stava alla finestra. Liberare Moro con un atto unilaterale significava ammettere una parziale sconfitta o incassare un parziale successo – su questo si potrebbe discutere all’infinito. Ma per un’organizzazione di guerriglieri che avevano fatto un’operazione enorme, con un grandissimo impatto, lasciar libero Moro senza contropartita significava registrare un limite invalicabile della nostra strategia, ammettere che la guerriglia aveva un tetto che non avrebbe mai potuto sfondare. La guerriglia urbana, quella che avevamo definito nientemeno che la politica rivoluzionaria dell’epoca moderna, sarebbe apparsa sulla difensiva, e in fin dei conti lo stato invincibile. Era inaccettabile… non lo potete capire, non siete Brigate Rosse. Per questo, nonostante avessimo fatto di tutto per evitarla, all’unanimità decidemmo l’esecuzione. Dico all’unanimità perché due compagni che dissentono – Morucci e Faranda – non fanno un’eccezione, sono una eccentricità. Non eravate in grado di far capire ai vostri militanti che un punto era stato segnato, una contraddizione aperta, e che liberando Moro rilanciavate sul piano politico? Eravamo in grado di capire e far capire questo e altro. Ma non è il punto. Il punto è che qualsiasi cosa fosse successa dopo che avessimo lasciato libero Moro, liberarlo senza contropartita significava decretare la fine della lotta armata, ammettere che la lotta armata non può vincere. Una riflessione del genere, in quelle circostanze, nessuno poteva né proporla né accettarla, si sarebbe gridato al tradimento. Se mai, mi ostino a credere, una ridiscussione su noi stessi sarebbe stata favorita dalle circostanze opposte, quelle che la Dc e il Pci non vollero, o che non seppero cercare. Alla fermezza non potemmo rispondere che con uguale rigidità: “Non è una grande vittoria,” pensammo “ma almeno non è la sconfitta sicura”. Abbiamo processato la Dc, guadagnato grandi simpatie pur in quella tragedia e sotto quella cappa tremenda, e questo  ci resta. Tanto è vero che saremmo andati avanti ancora quattro anni.