«Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagnano a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina. Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio … è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti». Settembre 2006, la voce metallica di Piergiorgio Welby si srotola in una lettera-appello rivolta all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Piero parla per sé, ma anche per tutti gli altri che come lui - consumati da una malattia incurabile - vogliono scegliere come morire. Quella lettera è un manifesto. La sua battaglia per l’eutanasia legale entra nella fase più complicata. Si muove sui binari del diritto, col suo diritto negato fino alla fine. Il 20 dicembre 2006, 88 giorni dopo il suo appello, Piero dice addio ai suoi cari. Viene sedato, il respiratore staccato. Il dottor Mario Riccio lo aiuta a morire. Ore 23.45, Piero non c’è più. Se ne è andato ascoltando la musica di Bob Dylan.

Da allora sono passati 16 anni e molte cose sono cambiate. Ma di diritto a morire non si può ancora parlare, e il confronto auspicato dallo stesso Napolitano non c’è stato. Però c’è la voce metallica di Piergiorgio che torna a pungolarci insieme a quella di sua moglie Mina: le troviamo entrambe nella serie audio “Sei stato felice? Mina e Piero Welby, una lunga storia d’amore”, scritta da Chiara Lalli, giornalista, e prodotta da Miyagi Entertainment in collaborazione con l’Associazione Luca Coscioni. Il podcast si può ascoltare su tutte le piattaforme di streaming: chi parla è Mina, ma la storia che ci racconta non è quella che già conosciamo. Lalli è riuscita a “rubarle” un pezzo di intimità che in questi anni di militanza Mina aveva tenuto per sé. A partire da una promessa tradita. “Se smetto di respirare non chiamare i soccorsi”, le aveva chiesto Piero. Ma Mina i soccorsi li aveva chiamati, e Piero era rimasto in vita, attaccato a un respiratore. Come si fa a lasciar andare qualcuno che ami? “Io per te lo farei”, aveva detto Piero a sua sorella Carla. “Così mi ha fregato…”.

Anche Mina ci ha fatto i conti, con la domanda delle domande con la quale noi tutti facciamo a pugni. Ha sposato la battaglia di suo marito per il fine vita, e ancora la porta avanti. Ma prima ancora aveva sposato un uomo col destino già segnato dalla distrofia muscolare. Ed è anche per questo che la sua testimonianza ha un valore più che politico: privato, universale, straziante. Da una parte la battaglia per i diritti, dentro e fuori gli ospedali e le aule di tribunale. Dall’altra una storia d’amore, che ha il pregio unico di essere anche una storia di libertà.

«Passare il tempo con Mina è un privilegio», racconta Lalli. Che ha raccolto voci e diapositive, pezzi di un album di famiglia, per ricomporli in un racconto di cinque puntate. Dentro c’è la giovinezza di Piero, il giorno delle nozze, il dolore della malattia. C’è Marco Cappato, l’avvocata Filomeno Gallo, l’anestesista Mario Riccio, tutti protagonisti dell’Associazione Coscioni. E c’è la storia degli altri: da Valeria Imbrogno, compagna di Dj Fabo, a Laura Santi, affetta da sclerosi multipla e protagonista di una battaglia senza sosta per una buona legge, supportata dal marito caregiver Stefano, e Andrea Ridolfi, fratello di Fabio, immobilizzato a letto da 18 anni e morto con sedazione profonda e distacco dai trattamenti di sostegno vitale, a causa dei ritardi del servizio sanitario in merito alla sua richiesta di accesso al suicidio assistito. «La linea comune che unisce tutte le storie è la voglia di poter scegliere: una possibilità dal potere rassicurante», spiega Lalli. Ma c’è qualcosa che appartiene a Mina soltanto. Un ricordo, di quando Piero le chiedeva di non piangere e lei rispondeva: “Non piango, ho solo tagliato troppa cipolla”.