«Il gentismo non rappresenta una sottomarca scadente del populismo, e nemmeno una malattia letale della democrazia o il suo definitivo scadimento. Si tratta invece di un fenomeno complesso e sfaccettato, dotato di una sua specificità, che ha accompagnato la seconda Repubblica come un'ombra». L'analisi di questo fenomeno socio-politico, condotta con rigore e obiettività e cadenzata da svariati reportage e dovizia di dettagli, costituisce il nucleo fondante di La Gente. Viaggio nell'Italia del risentimento (Edizioni minimum fax) del giornalista, blogger e news editor di VICE Italia Leonardo Bianchi. Bianchi, quando iniziò a diffondersi il termine 'gentismo', quali caratteristiche lo contraddistinguono e cosa lo divide dal populismo? Il periodo storico in cui compare per la prima volta il termine 'gentismo' corrisponde agli inizi degli anni Novanta – precisamente nel '94-'95 –, sullo sfondo di quel cambiamento epocale rappresentato da Tangentopoli e Mani Pulite. Le prime occorrenze al riguardo sono giornalistiche, mentre la sua prima teorizzazione si deve al libro chiamato La sinistra populista. Equivoci e contraddizioni del caso italiano (Castelvecchi, 1995), una raccolta di saggi a cura di Sergio Bianchi che risulta, per certi versi, valida ancora oggi: definisce il gentismo un'evoluzione del populismo, anche se il populismo ha come base fondante il popolo ed è quindi maggiormente legato a grandi ideologie e grandi partiti politici mentre il gentismo è correlato alla cosiddetta gente, intesa come soggetto politico contrassegnato dal consumo di informazioni, merce e offerta politica. Se, inoltre, fra le caratteristiche principali del populismo si annovera la presenza di un leader o comunque di un partito politico che fa appello al popolo, delineando con ciò un fenomeno verticale, il gentismo costituisce invece un fenomeno orizzontale in quanto promana dal basso e rifiuta qualunque forma di mediazione politica. Il termine 'gente' comincia a sostituire il termine 'popolo' nella grande politica e nei dibattiti anche in seguito alla discesa in campo di Silvio Berlusconi che, fin dall'inizio, considerava la gente, piuttosto che il popolo, categoria di riferimento e fonte di legittimazione primaria. Il termine evolve – compare nei primi anni Duemila in associazione al berlusconismo – per imporsi definitivamente negli ultimi anni, presentando connotazioni politologiche – Nadia Urbinati, ad esempio, lo associa in particolar modo ai Cinquestelle – e contraddistinguendo un certo modo di vivere la Rete, attraverso post con immagini artigianali, commenti sgrammaticati, ecc... L'enciclopedia Treccani definisce il gentismo “atteggiamento politico di calcolata condiscendenza verso interessi, desideri, richieste presuntivamente espressi dalla gente, considerata come un insieme vasto e, sotto il profilo sociologico, indistinto”. Secondo lei, è giusto considerare in termini negativi il fenomeno del gentismo? Per me è principalmente un fenomeno da conoscere e investigare, quindi di per sé non necessariamente connotato in maniera negativa, nonostante certe sue declinazioni siano indubbiamente discutibili. Mi concentro in particolar modo sulle interazioni fra gentismo e politica e su come la politica cerchi di recuperare istanze gentiste. A suo avviso, quali sono le formazioni politiche più vicine al gentismo e come si comportano i partiti tradizionale in relazione a esso? Il partito che più di ogni altro da un lato incarna e dall'altro rincorre il gentismo è senza dubbio il MoVimento 5 Stelle. Vi sono poi tentativi – a volte goffi – di recupero di uno stile gentista da parte del Partito Democratico, che negli ultimi mesi ha cercato di utilizzare, seppure in chiave opposta –  quindi calata dall'alto – la potenza comunicativa del gentismo per inserirsi in ambiti che i messaggi governativi difficilmente riescono a intercettare. La pubblicazione de La casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo ha influito non poco... La pubblicazione de La casta di Stella e Rizzo rappresenta il big bang di questo fenomeno: giornalisticamente inappuntabile, il libro ha messo in fila in modo chirurgico e impietoso una serie di privilegi e sprechi inaccettabili e ormai anacronistici. Ciò che risulta problematico è a mio avviso il discorso sorto non tanto intorno al libro quanto al concetto di «casta», diventato un refrain che permette una totale deresponsabilizzazione e divide la società in due categorie ben distinte: un ipotetico Noi – la Gente – e il Loro, ovvero la Casta, categoria che può attagliarsi a chiunque possieda privilegi o si percepisca come privilegiato. Tale suddivisione comporta che una classe o un soggetto politico si riconosca come del tutto incorrotto mentre all'altro vengano attribuiti tutti i vizi e i difetti. Questo tipo di pensiero ha ormai esaurito qualsiasi funzione costruttiva – che poteva coincidere con una riforma seria della politica – mentre ne è sopravvissuta solo la carica distruttiva: gli stessi partiti politici hanno assunto una postura anti-casta proprio per evitare di essere travolti. Da qui la creazione e l'attecchimento dei 5 Stelle: non dimentichiamo che il primo V-Day ricorse qualche mese dopo l'uscita de La casta e sul blog di Grillo comparve una delle prime interviste a Stella e Rizzo. È un fenomeno da maneggiare con molta cura, perché da un lato permette di attingere a una forma di legittimazione continua – malversazione e corruzione sono purtroppo delle costanti nella politica italiana – mentre dall'altro può travolgere in pochissimo tempo chi lo cavalca, come è successo all'Italia dei Valori, che più di tutti ha investito in politiche anti-casta per poi essere spazzato via quando sono cominciate a filtrare notizie circa una gestione non proprio trasparente dei conti del partito. Nel suo libro esamina manifestazioni che si vorrebbero spontanee, apartitiche e apolitiche, mentre in realtà vi si registrano cospicue infiltrazioni politiche, principalmente di estrema destra... Prendo in considerazione la nuova categoria del cittadino indignato ed esasperato, che si vuole per forza slegato da qualunque partito: in certi casi è realmente così mentre in molti altri è una maschera dietro cui si trincerano partiti politici di destra e spesso di estrema destra. Faccio esempi molto concreti – come Tor Sapienza a Roma – per desumere modelli di protesta contro i migranti in cui è sempre presente una qualche forma di tutela politica che oscilla tra la strumentalizzazione e la direzione. Le rivolte delle periferie romane, caratterizzate da scoppi di risentimento anti-migranti, sono espressione di una strategia nella quale rivestono un ruolo fondamentale i comitati di quartiere, manovrati, quando non proprio creati ad hoc, da partiti di estrema destra: vi è in ciò un preciso riferimento a un modus operandi adottato in Grecia dal partito neo-nazista Alba Dorata, che consiste nell'impostare una certa relazione intorno a un quartiere che si vuole assediato dagli immigrati, in preda al degrado più totale, veicolando messaggi, istanze e pratiche politiche che si concludono tendenzialmente in aggressioni o scontri. Lo sgombero del centro per migranti di viale Morandi, nel quartiere di Tor Sapienza a Roma, e altri episodi consimili, potrebbero venire considerati come una vittoria della gentocrazia sulla democrazia? Di vittoria in realtà non si può parlare perché, dopo lo svuotamento del centro migranti, la situazione del quartiere non è cambiata e i problemi sono rimasti gli stessi, in quanto non avevano nulla a che fare con quel centro di accoglienza specifico. Si tratta di cause strutturali che, specialmente per quanto concerne Tor Sapienza, si trascinano da trent'anni a questa parte e sottolineano un'assenza totale della politica. In questo vuoto si sono infilate le strumentalizzazioni di certi partiti. Le indagini giudiziarie non hanno mai trovato riscontro riguardo una eterodirezione della protesta e, a mio avviso, si potrebbe piuttosto parlare di una sorta di cappello politico e strumentale: è innegabile come una parte del quartiere abbia pensato che colpire l'ultimo anello della catena fosse una strategia funzionale a risolvere problemi di lungo corso. Dopo lo svuotamento non è cambiato nulla, quindi non la si può considerare una vittoria, se non per quei partiti che hanno segnato un precedente, un modello esportabile. Permane una percezione sbagliata secondo cui destiniamo un numero maggiore di abitazioni agli immigrati piuttosto che agli italiani in difficoltà... Rappresenta, questo, un nuovo fronte di strumentalizzazione: formazioni come Roma ai Romani, costole di Forza Nuova, hanno iniziato a fare picchetti al Trullo o altrove e a impedire che i legittimi assegnatari, che avevano l'unica colpa di non essere nati in Italia, usufruissero della casa a loro regolarmente assegnata, a favore di italiani che invece occupavano abusivamente. Cosa pensa riguardo al tema delle ronde? Le ronde sono state un cavallo di battaglia della Lega Nord, istituzionalizzate da un decreto Maroni del 2009: fu un flop clamoroso. Assistiamo oggi a diverse forme di ronde, che non consistono nel mandare cittadini armati a farsi giustizia da soli ma in qualcosa di più sfumato: i partiti di estrema destra – e non solo – le chiamano 'passeggiate per la legalità'. Un vero paradosso, in quanto svolgono una funzione che non compete a dei normali cittadini. È chiaramente un tema da prendere molto sul serio, perché interroga un grande cambiamento avvenuto nelle società occidentali durante gli ultimi 50-60 anni, con il venire meno della promessa dello Stato di riuscire a garantire sicurezza a tutti. Uno Stato democratico, tuttavia, non può delegare la sicurezza ai privati, perché eromperebbe dagli argini dello stesso tracciato democratico. Bisogna capire come uscirne, non certo adottando la soluzione avanzata da alcuni sindaci del Pd in Emilia Romagna, che hanno lanciato una sorta di ronda di sinistra. Bisogna ripensare nella sua interezza il sistema di sicurezza di uno Stato democratico. Cosa ne pensa del contributo dato dalla televisione e dal web alla diffusione di fake news e messaggi strumentali? Il dibattito sulle cosiddette fake news è stato impostato male fin dall'inizio già negli Stati Uniti. Nello shock generalizzato successivo alla vittoria di Trump si sono cercate spiegazioni immediate, di facile comprensione; una di queste è stata: “Trump ha vinto perché su facebook giravano delle falsità”. Non è stato così, come ha confermato anche una ricerca dell'Università di Stanford e ciò adesso ha permesso a Trump di invertire il senso del dibattito e usare il termine fake news come una clava da agitare contro i media e i suoi avversari politici. In Italia si sono ventilate al riguardo proposte di legge dal sapore liberticida: ancora oggi, si tende a considerare Internet un mondo a parte rispetto al generale ecosistema mediatico e a spingere verso l'adozione di specifici strumenti normativi. È invece alla politica e ai media che dobbiamo le notizie false di maggiore consistenza e portata. La strategia editoriale, se così possiamo chiamarla, dei siti di fake news è molto semplice: prendono articoli o notizie già uscite su agenzie, giornali e media, vi aggiungono un titolo di forte impatto, una foto shock e poi li pubblicano sui loro canali. Esiste un grande problema di fondo: la fonte deve essere legittimata come avviene per i media tradizionale. Sarebbe auspicabile maggiore giornalismo, più cultura, più etica e soprattutto più verifica delle fonti, in primis da parte dei giornalisti. Si può considerare il gentismo come un fenomeno solo italiano o è presente anche a livello internazionale? Lo definisco un fenomeno specificatamente italiano, perché possiede dei caratteri presenti solo in Italia, e lo considero una sorta di evoluzione di altre forme politiche: l'Italia è infatti sempre stata un'avanguardia nella creazione di nuovi fenomeni politici che poi prendono piede nel resto del mondo. Allargando tuttavia il discorso a un livello globale, documentandomi ho trovato delle occorrenze anche in Spagna, in Sudamerica o comunque nei Paesi latini, tuttavia di segno opposto: alcuni oppositori di Podemos, ad esempio, parlano di gentismo. Si possono rinvenire forme di gentismo anche all'estero, però si tratta di un fenomeno tipicamente italiano: il trend è globale, le declinazioni sono locali e molto diverse tra loro.