Con l’introduzione del Var ( o della Var, come dicono alcuni) è cambiato non solo il gioco del calcio, ma una delle sue figure chiave: quella dell’arbitro. La verifica, tramite strumentazione tecnologica, se infliggere o meno un rigore o una espulsione ne ha intaccato l’autorità ma anche le responsabilità. In passato, prima che il Var fosse introdotto nel campionato italiano e ora anche ai mondiali, la furia dei tifosi si concentrava tutta contro di lui, capro espiatorio di sconfitte brucianti o della vittoria ripetuta delle solite squadre.

Ma ora i tempi sono cambiati. Il Grande fratello è entrato nei campi di calcio e l’occhio umano per quanto ben allenato non basta a decidere le sorti di una sola partita o di un intero campionato. L’essere umano viene supportato e gli errori sono limitati a quel poco di “arbitrarietà” che la decisione dell’arbitro conserva. Il Var ( Video Assistant Referee, assistente al video dell’arbitro e vice assistente) non è una semplice aggiunta, un dettaglio che asseconda il bisogno di blindare partite sempre più esposte dal punto di vista economico. No. Quel dettaglio cambia completamente il calcio.

Un primo passaggio avvenne con la televisione.

Non parliamo delle prime partire date in tv, quelle che si vedevano a casa dei nonni o degli zii come se si andasse al cinema con tutta la famiglia riunita.

La televisione muoveva i primi passi in bianco e nero ed era ancora rispettosa della ( presunta) divisione tra la realtà e la sua rappresentazione. La trasformazione è successiva. Parliamo di quella tv che è entrata in simbiosi con i campi, li ha vampirizzati, facendosi a sua volta vampirizzare. Il calcio spettacolo pensato per la tv e la tv ripensata avendo come modello il calcio: lo scontro tra due squadre, la sfida, il goal.

Il Var fa fare un passo in più ( in meglio o in peggio, dipende dai gusti). La zona semantica è quella del Grande fratello, del controllo totale. Campo, controcampo, inquadrature dall’alto e dal basso: il calciatore non può sfuggire a uno sguardo che vede tutto, controlla tutto. E punisce. Perché, qualsiasi sia la nostra idea del Var, una cosa forse si può condividere: è fratello stretto di quella voglia, che è la cifra del nostro tempo, di sorvegliare e punire. E’ come se il giustizialismo fosse arrivato a dare i calci pure al pallone, determinandone il senso. Niente può sfuggire, neanche il calciatore più esperto può passarla liscia. La presunzione di colpevolezza non lascia scampo. La tecnologia è tutto. Ma poi, forse, non è proprio così. Perché per quanto invasivo il Var resta sempre uno strumento nelle mani di esseri umani che vedono la realtà attraverso un punto di vista che non sarà mai del tutto oggettivo. Vi ricordate il film Rashomon di Akira Kurosawa dove la stessa storia veniva raccontata da diversi punti di vista e ogni volta cambiava? L’errore e l’errare restano ancora lì, ma con un valore di oggettività che prima l’arbitro non aveva. Lo ha deciso dopo aver consultato il Var, lo ha detto il Var, chissà cosa dice il Var etc etc. E nessuno ( o quasi) protesta più. Ma non è solo questione di “oggettività”. Quando l’arbitro si ferma e va a rivedere l’azione in tv, più che compiere un gesto umano, sembra voler interlocuire con gli dei. Non fa una verifica, ma consulta l’oracolo. Crea un mito, un nuovo mito, dove la decisione è soprannaturale. L’arbitro cede qualcosa della sua autorevolezza umana ma acquista un fascino che lo avvicina all’Olimpo. Il mito non diminuisce semmai cresce a dismisura.

Ma c’è un terzo protagonista di questa scena che ci riporta con i piedi per terra: i tifosi. Un po’ mito, un po’ carne, il loro modo di guardare le partita cambia con la tecnologia ma solo un po’. Anche il Var viene adattato al loro microcosmo, a quelle passioni ancestrali che nessuna tecnologia potrà modificare. Solo all’inizio la consultazione delle immagini in campo crea sconcerto. Il risultato però non cambia.

L’arbitro sarà amico o nemico non sulla base delle immagini e dell’oggettività della scelta, ma sulla base del proprio “credo”, delle attese, di una passione che difficilmente si può controllare. Non è un caso che proprio il calcio, terreno di sperimentazione per la società del controllo, sia anche il luogo ancora vivo della ribellione al “sistema”. E se il sistema è il Var si può capire e tollerare solo fino a quando serve. Per il resto il vocabolario resta uguale, terra terra. E l’arbitro alla fine della partita, dopo quel rigore dato alla squadra avversaria, era e resta cornuto.