Ventidue anni, Massimo. E ancora siamo tutti orfani di te. Noi che ti abbiamo amato, ma anche tutti quei talenti che avevi intorno a te e che senza il loro pigmalione hanno sempre camminato un po’ zoppi, da quando ci hai lasciato. Non perché siano mediocri, anzi, ma quando si viaggia con te, poi la normalità è un fardello pesante da sopportare.Sono anni che scrivo di te. Di come Ricomincio da tre abbia rappresentato una sterzata nella visione cinematografica italiana, laddove la Settima Arte nostrana stava soffocando sotto il peso di un passato troppo ingombrante e di un futuro senza orizzonti, del modo in cui tu e Nanni Moretti – uno dei miei sogni da critico più perversi è scoprire anche solo un cortometraggio che vi veda insieme o almeno l’uno diretto dall’altro – siate riusciti a scoperchiare la coscienza collettiva di un’Italia che usciva da una battaglia politica, generazionale e anche creativa per entrare in un momento storico e artistico pericoloso e fragile. Ecco, se c’è qualcosa che mi manca da morire e ci servirebbe è il tuo sguardo sul mondo. Lucido, ironico, disarmante. E intelligentissimo.Ma dopo anni passati a raccontarti, a provare rabbia per la tua fuga e tenerezza per chi aveva mostrato tanto talento in così poco tempo – anche “solo” come attore, come ben sa Ettore Scola, che ti ha raggiunto da poco -, forse te lo devo io un racconto. Forse è giusto che tu sappia che cosa avresti visto se fossi rimasto con noi.Ti ricordi quanto ti arrabbiasti con Pertini che chiedeva dalla tv, proprio a tuo papà, dove fossero finiti i soldi del Belice? Sì, non puoi averlo dimenticato, ti proibirono di portarlo pure a Sanremo quel monologo semplice, geniale e innocente. Perché la purezza fa sempre paura e tu lo sai bene.Mi piacerebbe dirti che è tutto passato. Che Belice, Irpinia e i latrocini di allora sono un ricordo. Ma dovrei parlarti dei precari in nero divenuti morti bianchi sui cantieri spazzati via da un terremoto in Emilia Romagna, oppure di una catastrofe a L’Aquila. Anche lì tremò tutto, mentre una combriccola di infami profittatori, mentre le case cadevano su studenti e famiglie, ridevano al telefono. Quindi, Massimo, ora che siete insieme, forse il Presidente, il partigiano Sandro, potresti pure perdonarlo.Sai perché ti scrivo? Ieri il tuo compare Roberto Benigni, con cui forse hai regalato a tutti noi un cult irresistibile e indimenticabile, Non ci resta che piangere, ha detto che la Costituzione sì, sì può cambiare. Eppure gli aveva consegnato la sacralità della Divina Commedia, declamandola e definendola la più bella del mondo. Sì, Massimo, non so se Dante e De Nicola son lì con te, ma da quando te ne sei andato l’amico tuo ha vinto un Oscar, lo chiamano Maestro, è diventato un maître à penser. E a volte cambia idea e curiosamente succede sempre quando il Potere, a meno che non sia Berlusconi, ne ha beneficio. Ma magari son cattivo io.Come? Non credi che lo scapestrato autore de l’inno del corpo sciolto, il geniale folletto con cui hai rifatto Totò e Peppino, quel fustigatore di politici e politica a forza di parolacce e battute feroci, quell’assalitore di Raffaelle Carrà, quell’iconoclasta toscanaccio sia diventato un damerino? Capita, Massimo, si chiama “invecchiare”. A te non è stato concesso e ogni giorno me ne dispiaccio. Perché forse con te sarebbe andata meglio. Almeno uno Scusate l’anticipo, ce lo potevi concedere, in quel maledetto 4 giugno 1994. Ti dico solo una cosa, caro mio: se cerchi un toscano con cui far ridere, ora hai il premier Matteo Renzi. Intendiamoci, abbiamo visto ben di peggio e qualcosa di buono l’ha anche fatta, non ci crederai ma ora due omosessuali che si amano possono persino avere dei diritti come coppia: ma a oggi la cosa che gli riesce meglio, al buon Matteo, è far battute.Che altro posso dirti? Che c’è un buon mestierante, Alessandro Siani, a cui poverino affibbiano l’onere e l’onore della tua eredità. Lui prova a schivarla, sa quanto sei grande. Ma niente, siamo così orfani del tuo genio che proviamo a cercarlo ovunque. Non parliamo del tuo e del mio Napoli: dopo che te ne sei andato, è successo di tutto: nessuno scudetto, tanti dolori. Serie B, fallimento, serie C. Da una decina d’anni si è tornati in sella, quest’anno siamo anche andati in Champions League. Cos’è? La vecchia Coppa Campioni, basta arrivare secondi per andarci. Lo so, una barbarie. Però Gonzalo Higuain ti sarebbe piaciuto: più simile a te di Diego, è colto e a tratti indolente, ma implacabile e poetico quando si tratta di affondare il colpo.E non puoi non sapere che Pino, Pino Daniele, ha pensato bene di raggiungerti. Lui, che quel 4 giugno, in lacrime, ci confessò che era convinto che tra voi due, lui avrebbe aperto la strada verso l’ultimo spettacolo. E quasi se ne faceva una colpa, mentre a Roberto Benigni uscivano delle lacrime che non gli conoscevamo, mentre leggeva una poesia dedicata a te (l’ultimo capolavoro: non vogliamo ripeterci, ma il comico toscano dopo che te ne sei andato non è stato più lo stesso). Ci è rimasto solo Lello Arena, che infaticabile continua a regalarci perle. A teatro, perché solo lì sappiamo apprezzarlo. E ti risparmio l’11 settembre e Genova 2001. Avrebbero tolto il sorriso persino a te.Insomma, forse t’è andata bene. Te ne sei andato in tempo. A noi, invece, Non ci resta che piangere.