«Bisognerebbe dire grazie ad Ermanno Rea. Ringraziarlo per averci mostrato una politica più viva, più vicina alla gente, meno macchina. Questo è il mio pensiero». Antonio Bassolino ha conosciuto bene lo scrittore napoletano morto ieri a 89 anni. L'ha conosciuto da segretario del Pci, da esponente di quelle forze intellettuali che trovavano nell'Italsider una scuola politica e sindacale, un luogo di confronto dismesso assieme alla fabbrica che lo scrittore descrive in maniera impeccabile. Una storia politica, quella del Pci, che Rea ha umanizzato, raccontando la vita della città, del meridione e dell'Italia intera. L'ex governatore della Campania lo racconta così, come un uomo capace di una lucidità rara, coraggioso e, fino alla fine, innamorato della sua Napoli, dove il suo sguardo era sempre diretto. «Rea è stato davvero una figura molto importante. La sua scomparsa è una perdita grave per la città e per la cultura italiana. Ha scritto tante cose importanti e belle e ha scritto su tante vicende italiane», spiega al Dubbio.Parliamo di Mistero napoletano, forse il suo più grande libro. Cosa racconta di quell'epoca?La protagonista Francesca Spada, che muore suicida, è una grandissima donna, un grandissimo personaggio. È un mondo oggi lontano e però Ermanno Rea, con un romanzo, scuote le coscienze, tocca tasti delicati nella vita del Pci, anche dal punto di vista personale e degli affetti. Ci fu molta discussione quando uscì quel libro, che è straordinario, un romanzo bellissimo. E assieme a La dismissione fa parte integrante dell'identità napoletana e non solo: è parte della storia del paese.Rea ha messo a fuoco il Pci napoletano degli anni 60, una comunità rigida e piena di contraddizioni che lei ha vissuto.Io entro nel Pci dopo queste vicende. Lui le descrive dall'interno, da giornalista dell'Unità com'era Spada, facendo un'operazione che creò tanti problemi. Con quel libro ha rotto lo schema di politica impersonale. Ha immesso i sentimenti, gli affetti, le gelosie e i problemi. Li ha messi a nudo, come non si faceva. E come, secondo molti, non si doveva fare, come non avrebbe dovuto fare. Ha evidenziato la spaccatura, facendo un'operazione di grande coraggio. E non era, come qualcuno ha potuto pensare allora dentro il Pci, una cosa contro il partito. È tutto il contrario. Ha avuto molte critiche, ma per come l'ho vissuto io, con questo libro lui apre il Pci, apre un mondo che è grande ma chiuso al tempo stesso.Quali erano le sue caratteristiche?Era un partito con rigide separazioni: la politica è politica, tutto quello che è personale, anche se succede, non è politica, non c'entra o comunque deve restare fuori dall'analisi, dal racconto, come strade parallele. Ma questo, non fu un danno per il Pci, ma lo umanizzò. Fu una grande operazione mettere i rapporti umani, personali, i rapporti fra compagni, tra uomini e donne, per come erano. Questo è il punto: anche dentro la vicenda politica ci mostra la politica più vera, più ricca, più vicina ai sentimenti. Io ho sempre pensato, allora e ancora oggi, che dopo un libro come quello bisogna solo dire grazie.L'altro capolavoro, La dismissione, non è solo la storia dello smantellamento di una grande fabbrica. Cosa racconta davvero quella vicenda?L'ex Italsider, a Napoli, è stata molto di più di una fabbrica. È stata un grande luogo di democrazia, un fattore di aggregazione sociale, un grande centro di mediazione sociale tra strati diversi della società napoletana. La classe operaia dell'Italsider e delle altre grandi fabbriche scomparse ha sempre avuto la caratteristica di essere un collante sociale tra forze intellettuali, popolo, borghesia produttiva e perfino con la "plebe" napoletana, i settori più poveri, tanto che per decenni interi, in molte parti della città, dentro un singolo palazzo potevi individuare questa complessa stratificazione sociale.Quindi è simbolo della complessità sociale di quel tempo.Sì, è durato per tanto tempo: in basso avevi la gente più povera, poi l'operaio, il lavoratore che aveva un salario dignitoso e un lavoro stabile che gli dava anche uno status sociale e poi nello stesso palazzo avevi gli insegnanti, il professionista, magari il nobile decaduto. Rea ha saputo descrivere tutto ciò. E ha portato alla luce una classe operaia colta. Anche in Mistero napoletano emerge questo sforzo permanente di essere una classe operaia istruita, che si istruiva nel Pci, nei sindacati, attraverso una dura e quotidiana disciplina fatta di lavoro, studio, emancipazione sociale. Rea è stato un grande scrittore di queste caratteristiche. La dismissione non è solo lo smantellamento di una grande fabbrica. Si dismette, al tempo stesso, anche la mediazione sociale, una cultura, una mentalità, uno status. La città tende di più a polarizzarsi senza questo cemento di mediazione tra strati sociali, senza questo collante, che è stato molto importante perfino dal punto di vista democratico. Nei suoi scritti torna molte volte il ruolo di questa classe operaia in tempi difficili di grandi battaglie democratiche.Che cosa rimane della storia di quella fabbrica?A fine mese, nel circolo Ilva di Bagnoli, facciamo la festa della fondazione Sudd. Quel circolo è gestito da tanti ex lavoratori e lì vi sono tante foto che testimoniano questa storia: i grandi cortei, Berlinguer alla mensa degli operai e una, molto forte, di me, ai tempi segretario del Pci, a braccetto con Maurizio Valenti, allora sindaco, con la fascia tricolore a testimoniare l'impegno del Comune, e poi quadri storici dell'Italsider, del Pci e dei sindacati.E di quell'equilibrio tra strati sociali?La situazione è cambiata. Rea ha sempre insistito sul fatto che la fine dell'Italsider e la crisi di tante fabbriche, quindi l'indebolimento sociale e politico della classe operaia napoletana, abbia portato con sé, nella composizione sociale della città e nell'equilibrio democratico, momenti di difficoltà. Perché gli operai di Bagnoli erano in tutta la città. Al massimo dell'espansione produttiva, in quella fabbrica lavoravano 16mila operai, che venivano anche dal resto della provincia. Ho passato buona parte della mia gioventù lì, a distribuire volantini. Era anche una grande scuola politico-sindacale, una scuola di formazione e Rea racconta bene tutto questo. La fine dell'Italsider è un passaggio nella vita della città, non solo della fabbrica, è un passaggio nell'assetto democratico della città. Tutto cambia e tutto deve riorganizzarsi in qualche modo.Com'è cambiato il rapporto di Rea con Napoli dopo il trasferimento a Roma?Da tanto tempo Ermanno stava fuori ma aveva ripreso i rapporti con la città. Si è dedicato in modo straordinario al "Premio Napoli", per rendere più forte il legame tra i libri e la città. Ha continuato fino alla fine, anche con l'ultimo libro, a tornare a Napoli pur rimanendo a Roma. Per lui è una città mondo. Anche il suo ultimo atto politico, la candidatura da capolista nella lista Tsipras alle europee, è stato un contributo a una battaglia. Era capolista a Napoli, un modo, per lui, di tornare alle origini. Questa è stata, negli ultimi anni, la sua "ossessione". Guardare al mondo, candidandosi al parlamento europeo, ma con la testa e il cuore dentro una città come Napoli.