Un cubo multimediale che ininterrottamente fa scorrere, prima dello spettacolo, immagini di attualità politica italiana e internazionale, assieme a tante parole che si intrecciano con i ritagli di video. Concetti come innocenza, assoluzione, legge, sentenza, condanna, crimine, ingiustizia, amore, libertà, ipocrisia si sovrappongono alle immagini di capi di Stato del calibro di Blair, Clinton, Gheddafi, Saddam: per ultimo Trump. Una sorta di contenitore, allestito per ricordarci che siamo parte della storia e non possiamo chiamarci fuori. È così che si presenta lo spettacolo di Luca Barbareschi Il penitente di David Mamet, che ha debuttato in prima nazionale al Napoli Teatro Festival Italia nel Cortile d’Onore di Palazzo Reale. Si tratta dell’ultimo testo del drammaturgo statunitense ( tradotto dallo stesso Barbareschi) che è stato anche sceneggiatore, produttore cinematografico, regista e saggista, nominato due volte agli Oscar. Il testo è del 2016 e ha ricevuto il Premio Pulitzer per Glengarry Glen Ross. E’ una produzione del Teatro Eliseo-Fondazione Campania dei Festival- Napoli Teatro Festival che con questo spettacolo chiude la sezione italiana del Festival diretto da Ruggero Cappuccio.

Si tratta di una rappresentazione molto coinvolgente, basata sul conflitto tra l’esercizio della libertà di stampa e il possibile abuso da parte di chi fa informazione. L’assunto di base è che «i giornalisti sono i sacerdoti della comunicazione». Però in tanti casi operano senza rispondere delle conseguenze dei loro scritti. I protagonisti principali sono Luca Barbareschi ( Charles lo psichiatra) che firma anche la regia, e una strepitosa Lunetta Savino ( Kath la moglie). Entrambi affrontano la scena con un pathos molto forte e incalzante, in compagnia di altri due bravi attori: Massimo Reale ( Richard l’avvocato) e Duccio Camerini ( la pubblica accusa). Le belle musiche sono di Marco Zurzolo, le scene di Tommaso Ferraresi, i costumi di Anna Coluccia, le luci di Luraj Saleri, il suono di Hubert Westkemper, i video di Claudio Cianfoni, dramaturg Nicoletta Robello Bracciforti.

Il penitente è la storia di uno psichiatra che finisce in piena crisi professionale e morale quando si rifiuta di testimoniare in tribunale a favore di un suo paziente accusato di avere compiuto una strage.

Coinvolto da un sospetto di omofobia, lo psichiatra è sospettato di aver detto che «l’omosessualità è un’aberrazione». Un giornale confonde aberrazione con “adattamento”: la colpa - è la giustificazione del giornale - è del titolista che ha commesso un refuso non di poco conto ma che scatena una riprovevole messa sotto accusa da parte dell’opinione pubblica. Sottoposto a una vera gogna mediatica e giudiziaria, lo psichiatra viene sbattuto in prima pagina, spostando sulla sua persona la riprovazione di un pubblico volubile alla ricerca costante di un nuovo colpevole sul quale fare ricadere la giustizia sommaria della collettività.

Il ritmo dei dialoghi è intenso, incalzante, appassionante, amaro, anche molto duro, e investe la sfera privata: il rapporto del protagonista con la moglie ed i temi della sua spiritualità ( tra cui la necessaria obbedienza al rabbino). Affronta anche e soprattutto il nodo dell’influenza della stampa e la strumentalizzazione della legge, arrivando a sfiorare quello dell’inutilità della psichiatria. L’efficacia della demolizione dell’immagine sociale del professionista viene altamente rappresentata dal dramma che mette in scena Barbareschi, così come il confronto con una moglie che viene distrutta psicologicamente da questo avvenimento e cercherà una via di fuga in un’altra relazione. Ma vengono messe in gioco anche le relazioni di amicizia visto che lei gli imputa di «aver fatto la scelta di cambiare religione senza pensare a quelli che gli stavano intorno» : moglie, amici, che non hanno il tempo di capire una trasformazione così netta con abitudini e riti diversi. Un dramma descritto in otto scene, otto atti di confronto tra marito e moglie, con la pubblica accusa che chiede allo psichiatra di consultare gli appunti presi durante l’analisi con il paziente, interpretata da un convincente Duccio Camerini, e con il proprio avvocato. Quel “librettino” nero in cui sono custoditi gli scritti del medico durante i colloqui con il suo paziente diventa la chiave di volta del dramma: consegnarlo o no? È giusto farlo? Un tunnel doloroso nel quale cadono marito e moglie, demoliti socialmente, che coinvolge il ruolo dello psichiatra, ma anche la coscienza di tante persone: «Dubito che ci siano persone che non giudichino» recita la brava Lunetta Savino. Domande sulla religione, sulla possibilità di trovarsi al cospetto di un fanatico che obbedisce solo al suo Dio e alla sua morale, guidato da un pregiudizio sulla omosessualità? Ma anche temi come la possibile censura culturale, ad esempio come l’impedimento di poter leggere le Metamorfosi di Ovidio, o le opere di Shakespeare, sono al centro di questo testo drammaturgico intenso e di grande contemporaneità. Uno spaccato di società dove gli equilibri perdono l’armonia a vantaggio del sopravvento dell’aberrazione che devasta la vita di un uomo e di quelli che gli sono accanto. Fino al colpo di scena finale.

«Ho scelto questo lavoro di Mamet – spiega Barbareschi – perché è una lucida analisi del rapporto alterato tra comunicazione, spiritualità e giustizia nella società contemporanea. Il “Penitente” è la vittima dell’inquisizione operata dai media. È ciò che accade all’individuo quando viene attaccato dalla società nella quale vive ed opera, quando la giustizia crea discriminazione per avvalorare una tesi utilizzando a questo fine l’appartenenza religiosa. A cosa può servire – conclude il regista - rivendicare la ragione se, come dice Mamet, ciò significa isolarsi, uscire dal coro ed essere puniti per questo? In una storia, chi sfida la menzogna e difende la verità è in genere l’eroe della vicenda, è l’uomo buono. Ma qui uomo buono è definizione ironica, sarcastica. La società reclama il sacrificio di ogni integrità. Tutto è sottosopra sembra dire Mamet, e l’assenza di etica governa un mondo capovolto».