Piazza Vescovio, Roma. Arrivavi con la macchina e compravi i giornali all’edicola. Anzi rimanevi seduto al posto del passeggero e qualcuno lo faceva per te: quel corpo ingombrante cominciava a darti fastidio. Per chi scrive sei stato una presenza nell’immaginario costante, nella fantasia come nella realtà. Davi pugni, sbattevi teste, facevi volare e far capriole: eppure non mi hai mai fatto paura. Eri un supereroe grande, grosso e bonaccione, con il gusto dell’ironia e dell’umiltà, un’ottimista di natura perché da napoletano cittadino del mondo avevi affrontato l’avventura della vita, in ogni momento, senza aver paura di nulla e nessuno.Pur senza mai sottovalutare le tante sfide, anche quando con incoscienza le affrontavi. Raccontano di un pilota di elicottero, sul set di Più forte ragazzi, che rischiò l’infarto vedendolo alla guida del suo mezzo: l’aveva osservato, Bud, a lungo e aveva deciso che sapeva farlo. E come al solito era vero. Il brevetto lo prese, ma dopo. Come quando alla Dupont faceva il chimico, in Sud America, pur non avendo finito gli studi di chimica. Il supereoe dei due mondi, Carlo Pedersoli in arte Bud Spencer, ma non tirava solo pugni. Chiedete a Monicelli (recitò con Sordi per Mario), Montaldo, Lizzani, Dario Argento ed Ermanno Olmi, che a 74 anni ce lo mostrò grande attore d’autore in Cantando dietro i Paraventi. Lui non aveva un mondo solo: c’era il nuoto (tre volte alle Olimpiadi: Melbourne, Helsinki e Roma prima del ritiro) e quel record che con orgoglio ricordava quando entravi in confidenza con lui – «sono stato il primo italiano a essere sceso sotto il minuto nei 100 stile libero: e con i costumi pesanti»; c’era il cinema, iniziato quasi parallelamente alle imprese in acqua, con Quo Vadis?  e Il Gattopardo, dove incontrò Mario Girotti (Terence Hill) senza sapere che insieme al regista Michele Lupo (ed altri) avrebbero inventato il western comico. Era allo stesso tempo, nonostante amasse dire che fosse un bravo dilettante in tutto, un protagonista che sapeva fare la spalla e viceversa.Ecco perché, forse, era impossibile per lui non calarsi, nel Far West come in città, nei buddy movie. Con Mario, l’amico di una vita e sodale di 16 film miliardari, ma anche con un bambino o un pellerossa. Perché lui era un Bomber vero. Un Bulldozer che sapeva abbattere tutti gli ostacoli. Ma non con la brutalità che suggerirebbe quel corpo colossale, ma con l’eleganza del nuotatore e l’innocenza del bambino che non si stanca mai di scoprire il mondo. «Solo il fantino e il ballerino non ho mai fatto» diceva con l’orgoglio di chi la gavetta l’ha presa di petto. Ma anche con la vanità di chi ha fatto la seconda linea a rugby, il primo pilota nella Caracas-Maracaibo, il pugile nei campionati dilettantistici.Non sembra vero, leggendolo. Ma lui sapeva essere credibile in tutto: persino in quelle risse coreografate in cui le acrobazie violente erano tanto fantasiose quanto innocue. Nessuno sanguinava, anche dopo essere precipitato da una ringhiera per tre metri, aver rotto il vetro di una porta, aver preso uno dei suoi ganci celebri o un pugno in testa da trauma cranico permanente. Ma Bud Spencer, fuori e dentro al set, era un supereroe. All’italiana. Un po’ cialtrone (ma solo nei suoi personaggi) e molto brava gente, uno che non ha arcinemici ma al massimo arciamici, come Terence Hill ma anche quei deboli che con finta riluttanza finiva sempre per aiutare. Magari fingendo di essere messo in mezzo, tattica divertente che usava anche nelle interviste. Non le negava mai, ma te le faceva apprezzare.Era il supereroe di un’Italia che credeva nel boom che l’aveva fatta diventare una nazione piena di speranza e ottimismo: non solo perché si aveva una casa e dei soldi in tasca, ma anche perché si pensava davvero in un mondo migliore, prima dell’edonismo anni ’80 (l’apice e l’inizio del declino della coppia Spencer-Hill) e del nichilismo anni ’90. Bud era quello di Occhio alla penna: dalla parte degli indiani e di una cittadina maltrattata dai fuorilegge, con un amico indiano dalla parlata improbabile, dottore con la pistola ma soprattutto con i pugni. Tutto era possibile per lui e per noi e con lui se ne va l’idea e il desiderio di essere migliori: se ci ha insegnato qualcosa, quel grande uomo, in tutti i sensi, è che non si doveva mai rinunciare alla grandezza, non si poteva non affrontare le imprese solo perché impossibili. In fondo lui a volte con un urlo poteva mettere in fuga un gruppo di mezcaleros. Solo l’amico Terence Hill sapeva gabbarlo, solo lui. E se poi perdevi la tua partita, ti facevi una risata e provavi a vincere quella successiva.Era sempre «dalla parte del pubblico, Bud (Bud come la birra Budweiser, Spencer come Spencer Tracy, lui amava le stalle e le stelle): tutto quello che ho è merito suo. Nel nuoto i meriti sono i miei, nel cinema della gente che ci ha amato così tanto».Dalla parte delle persone, come nei film era sempre dalla parte del popolo, dei deboli, dei perdenti. Che in lui trovavano un burbero liberatore: uno che se ne andava prima di essere ringraziato, magari pure sacramentando contro chi lo festeggiava. Come ha fatto lunedì sera. Bud, Carlo, ci lasci senza averti onorato come meritavi, eri un geniaccio (anzi, un Superfantagenio) che fingeva di essere normale. Uno che in tempi di razzismi di campanile, anche in Spagna, in Venezuela o in Giappone orgogliosamente dichiarava «io sono napoletano, non italiano». Per quell’infanzia passata al Pallonetto e a Santa Lucia, a passeggiare e far marachelle con Luciano De Crescenzo. Due filosofi – sì, leggete Mangio ergo Sum (e pure Altrimenti mi arrabbio: la mia vita), e scoprirete un maestro del pensiero in Bud -, due filosofi del popolo.Dio forse ti perdonerà per essere andato via, noi no.