«Credo che questa posizione del Pd rappresenti una apertura importante sulla quale poter lavorare e dialogare. Poi, a prescindere dalla forza politica da cui proviene, è una indicazione che fa bene al funzionamento della macchina della giustizia. Una integrazione con la presenza degli avvocati nei Consigli giudiziari direi che è indispensabile». Il consigliere del Cnf Piero Melani Graverini, che nella massima istituzione dell’avvocatura è anche componente della commissione Rapporti con il Csm e con i Consigli giudiziari, commenta la proposta con cui i democratici, nella riforma del Csm, propongono di «prevedere per i componenti avvocati e professori universitari dei Consigli giudiziari il diritto di intervento e anche di voto sulle deliberazioni inerenti le valutazioni di professionalità dei magistrati». Dunque non solo il “diritto di tribuna” ma anche quello di partecipare alle votazioni: «Sarebbe un passo importante», commenta Melani Graverini.

Difficile credere che su una proposta del genere, vista l’attuale maggioranza, possa crearsi un fronte contrario. E ciò potrebbe anche provocare delle crepe nel muro di contrarietà espresso dal Csm e dall’Anm: «Assolutamente, noi abbiamo bisogno di dialogare con l’Anm e con il Csm. Aggiungo anche che una larga fetta di magistrati è a favore. Tutte le volte che sono stato chiamato in causa per fornire il mio parere su quale possa essere il miglior funzionamento della giurisdizione ho sempre detto che essa può funzionare solamente se vi è una sinergia, una collaborazione ma, tengo a precisare, non una intromissione, tra magistrati e avvocati. Solo così il cittadino potrà avere fiducia nuovamente nella giustizia».

La presenza degli avvocati è sicuramente osteggiata dai magistrati nel momento in cui nei Consigli giudiziari si procede sulle valutazioni di professionalità, vale a dire sui pareri che l’organismo dell’autogoverno territoriale formula e trasmette al Csm per la deliberazione sull’avanzamento di carriera di quel magistrato: «Credo che non si fidino dell’avvocatura», prosegue Melani Graverini. «Penso che con un recupero di professionalità, di serietà e di affidabilità l’avvocatura abbia pieno diritto di partecipare a tutte le operazioni all'interno dei Consigli giudiziari».

Tuttavia forse in questo momento è proprio la magistratura a dover recuperare serietà, dati gli scandali che la stanno attraversando. Ha fatto molto scalpore che a Bari la maggioranza togata abbia messo ai voti una modifica del regolamento con cui si elimina proprio quel “diritto di tribuna”. Anche nel parere sulla riforma del Csm approvato a fine aprile dal plenum di Palazzo dei Marescialli, il via libera a una “benedizione” della più timida apertura già prevista nel testo base di Bonafede, con cui si istituzionalizza il solo “diritto di tribuna”, è arrivato grazie alle insistenze dei laici. Segno che all’interno della magistratura si teme la trasparenza? «Quello che è accaduto a Bari è grave: la giurisdizione deve essere un palazzo di vetro per magistrati e avvocati. Il cittadino deve poter vedere quello che succede all’interno della giurisdizione; non deve venirlo a sapere dai media o dai talk show televisivi. Oggi vediamo che i conflitti all’interno della magistratura si sono trasferiti nei salotti televisivi: non è una bella immagine quella che si sta dando. Invece bisognerebbe confrontarci tra di noi, avvocati e magistrati, per poi mostrarsi trasparenti nei confronti di chi ci sta guardando».

Il Csm ha espresso qualche riserva sulla presenza degli avvocati nell’Ufficio Studi di piazza Indipendenza, dove si preparano i pareri per l’assegnazione degli incarichi direttivi: «Si tratta di una chiusura generale che sicuramente è preconcetta. Anche qui bisogna operare per poter dare un aiuto alla magistratura che è in difficoltà. Come già scritto qualche tempo fa sul Dubbio, credo che bisogna raccogliere il grido di aiuto che la magistratura ci rivolge. Al di là di quello che esce fuori dal Csm, tanti magistrati stanno chiedendo aiuto agli avvocati. Manifestazioni corporative non servono a nulla, altrimenti sarà sempre più difficile invertire la rotta involutiva che si è intrapresa».

Siamo chiari: un avvocato presente nell’Ufficio Studi avrebbe anche un potere di criticare pubblicamente la promozione a un ufficio direttivo di un magistrato che casomai aveva sul fascicolo delle note critiche o meno meriti di un collega. In sostanza significherebbe scardinare il potere delle correnti che fino ad ora hanno piazzato i loro uomini al di là dei meriti: «Sicuramente l’avvocato potrebbe anche ricoprire questo ruolo. Il problema del sistema delle correnti è che non ha privilegiato il merito ma l’appartenenza».

E allora chiediamo all’avvocato se sarebbe favorevole ad aprire seriamente una riflessione sulle valutazioni professionali dei magistrati. Se dieci inchieste di un pm si rilevano tutte un flop, non sarebbe il caso di inserire questo nel fascicolo personale del pm? «Ho difeso un pubblico amministratore che ha subìto più processi da cui è uscito sempre assolto. Significa che chi ha condotto le inchieste non ha saputo farlo bene. E se non c’era fondamento la situazione sarebbe ancora più grave perché forse le ha condotte con altri scopi. Quindi è chiaro che il sistema delle valutazioni non funziona benissimo. Ci sarebbe bisogno di una rivisitazione dei criteri valutativi».