La prigione di Angola in Louisiana svetta sulle rive del Mississippi in un’area di 7mila ettari, si chiama così per l’omonima piantagione di cotone in cui oltre un secolo fa si spaccavano la schiena migliaia di schiavi provenienti dal paese africano; è il carcere di massima sicurezza più grande degli Stati Uniti con 6500 detenuti e quasi duemila dipendenti.

È soprannominata l’ “Alcatraz del sud” per le durissime condizioni di prigionia e perché è praticamente impossibile evadere. Probabilmente negli ultimi decenni è diventata anche più famosa di Alcatraz, è nella sua cupa e sinistra struttura di cemento che ospita il braccio della morte più popoloso d’America che hanno ambientato film celebri sulla condizione carceraria come Dead Man Walking o Il Miglio Verde.

Ed è lì, nella grande città carceraria che il 47enne afroamericano Céderic Dent ha passato gli ultimi 25 anni della sua vita, accusato di un omicidio che non ha mai commesso, stritolato dalla negligenza delle autorità e dalla ferocia del sistema giudiziario americano.

Da lunedì scorso Dent è un uomo libero, un giudice del tribunale di New Orleans ha infatti deciso di annullare la sua condanna e il procuratore distrettuale ha rinunciato a perseguire il caso.

Dent fu vittima di un processo iniquo, viziato dal pregiudizio di alcuni giurati e dai metodi banditeschi utilizzati dai pubblici ministeri che hanno occultato tutte le prove che lo avrebbero scagionato, tra cui una testimonianza cruciale sulla descrizione dell’assassino che non corrispondeva minimamente con l’aspetto dell’imputato. Inoltre si è scoperto che il testimone chiave dell’accusa aveva cambiato più di una volta la sua versione in modo contraddittorio.

Dent fu così condannato all’ergastolo per la morte di un uomo, Anthony Milton, avvenuta nel 1997 all’uscita di un supermercato di New Orleans, raggiunto da due colpi di pistola alla schiena e alla nuca esplosi da uno sconosciuto con cui avrebbe avuto una lite all’interno del supermercato. Una dinamica confusa per una ricostruzione approssimativa da parte della polizia e della procura. Peraltro il verdetto di condanna è stato pronunciato da una giuria non unanime e la non unanimità delle giurie in caso di colpevolezza è un fattore che statisticamente fa lievitare la possibilità di una sentenza sbagliata. In molti Stati ci vuole ad esempio l’unanimità per condannare un imputato, non nella Lousiana del 1997.

È solo grazie alla tenacia degli avvocati dell’Innocence project, una ong che si occupa delle migliaia di errori giudiziari commessi ogni anno dai tribunali Usa, che il caso Dent è stato riaperto. Quando hanno preso in mano le carte piene di violazioni del diritto alla difesa e al giusto processo non c’ è voluto molto per far annullare la condanna.

E a quel punto qualsiasi giudice di buon senso non poteva far altro che rilasciare Dent. Ci sono voluti tanti anni perché le associazioni sono letteralmente sommerse di casi e non riescono materialmente a occuparsi di tutti.

Certo è che nessuno restituirà all’uomo il quarto di secolo che ha passato in prigione, tutti gli anni della sua giovinezza buttati via per lo zelo giustizialista dei procuratori e per la sciatteria con cui gli afroamericani vengono generalmente condannati a pene durissime anche in mancanza di prove e sulla base di semplici indizi.

«Cedric Dent è una vittima dei fallimenti del nostro sistema giudiziario che è stato incapace di proteggere i suoi diritti di persona accusata di un crimine: c’è un dipartimento di polizia che ha fatto il minimo indispensabile per indagare su un crimine grave come un omicidio; ci sono avvocati che non avevano risorse e mezzi per indagare sul suo caso e un ufficio del procuratore distrettuale che nascondeva prove che avrebbero dovuto essere consegnate e avrebbero aiutato il signor Dent a ottenere il verdetto di non colpevolezza che meritava al processo», spiega in un comunicato Meredith Angelson, avvocata di Innocence project che ha seguito il caso personalmente.