I colleghi dicono che sia del tutto incapace di lavorare ai dossier, «confusionaria», «agitata», «paranoica» e ormai nemmeno in grado di accedere alle proprie credenziali informatiche sui server del tribunale in cui lavora da quarant’anni. Pare che abbia minacciato di far arrestare un membro del suo staff che aveva rassegnato le dimissioni e c’è chi giura di averla sentita di dialogare con il giudice Markey, un vecchio collega deceduto oltre 15 anni fa.
E per questo da tempo le fanno pressione per spingerla a dimettersi, chiedendo al dipartimento di giustizia di applicare il Judicial Conduct and Disability Act allo scopo di procedere ad analisi neurologiche per stabilirne la non idoneità al lavoro, esami che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) tenersi a fine maggio assieme a un colloquio che verrà video registrato.
«È triste doverlo dire, ma non è più presente a se stessa», spiega un funzionario.
Lei è Pauline Newman, 95 primavere alle spalle, la più anziana degli 870 giudici federali in attività negli Stati Uniti: fu nominata nel 1984 dall’allora presidente repubblicano Ronald Reagan; secondo la Costituzione americana, soltanto il Congresso può chiederne l’allontanamento.
Anche perché la giudice Newnam non ha alcuna intenzione di lasciare la poltrona per dedicarsi ai bis-nipoti e ai gerani: «Sto benissimo dove sono » dice alla stampa.
Esperta di questioni riguardanti la proprietà intellettuale, in particolare di brevetti (controversie a volte miliardarie che hanno coinvolto aziende come Apple e Intel) , negli anni si era guadagnata la reputazione di giudice prolifica e sempre sul pezzo, ma da un po’ di tempo la sua attività si è rallentata bruscamente, perdendosi nei meandri dei faldoni, dimenticando interi articoli del codice e non prestando alcuna attenzione al calendario delle udienze.
Secondo quanto sostengono gli altri giudici sembra che abbia impiegato oltre seicento giorni per pronunciarsi su un caso, poi passato a un collega che lo ha risolto in meno di un mese.
Anche un’ amica di vecchia data, la senatrice della California Dianne Feinstein che proprio giovanissima non è (89 anni), ha espresso dubbi sulle sue capacità professionali citando gravi amnesie e incongruenze crescenti nel comportamento, suggerendole di lasciare . Pare che il caso sia approdato anche alla Commissione giustizia del Senato ma i due portavoce dell’organismo si sono rifiutati di rispondere alle domande della stampa.
Dovranno farsene tutrti una ragione: Pauline Newman è decisa a resistere, non collabora alle indagini e lo scorso 10 maggio ha a sua volta citato in giudizio i colleghi davanti a un tribunale distrettuale.
Il suo avvocato Paul Vecchione, membro della New civilies liberty alliance, è stato in tal senso chiarissimo, sollevando obiezioni sulla parzialità e il pregiudizio da parte dei giudici che vogliono farla rimuovere, in particolare la giudice capo Kimberly A. Moore che presiede il pool: «Ci opponiamo radicalmente all’intera procedura, sia alle indagini nei confronti della mia cliente, sia ai test clinci e attitudinali a cui dovrebbe venire sottoposta. Non ne hanno alcun diritto. La rimozione di un giudice ha rilevanza una costituzionale, è il Congresso che deve venire coinvolto e quel processo non è stato nemmeno invocato».
Vecchione ha chiesto che il dossier venga trasferito dalla Corte d’appello del Circuito federale a un altro tribunale «neutrale», senza successo-
Non sarà comunque facile venire a capo della vicenda; come spiega Arthur Hellman, professore di diritto all'Università di Pittsburgh. «praticamente non esistono precedenti, ci muoviamo in un territorio inesplorato».
L’unico caso che può esservi associato è quello che nel 2017 coinvolse il giudice dell’Ohio John R. Adams, accusato da quattro altri giudici di cattiva condotta a causa di «pesanti disturbi mentali». Chiesero una perizia psichiatrica ma alla fine il Consiglio giudiziario del quinto circuito federale archiviò il dossier annullando la richiesta di esami medici.
A naso i colleghi di Pauline Newman dovranno spportala ancora per un po’.