Per definirli è necessario coniare nuovi termini. Perché nulla nella tragedia dei bambini palestinesi può essere riconducibile alla normalità, compresa quella che può essere rintracciata nei vocabolari. Si chiamano bambini senza infanzia, “unchild”, come li ha definiti Nadera Shalhoub-Kevorkian, criminologa e specialista in diritti umani e diritti delle donne. Bambini che, dal 1967 ad oggi - senza contare l’ultimo mese di conflitto - sono stati privati di tutto.

Delle circa 10mila vittime contate a Gaza negli ultimi 30 giorni, la metà sono minori. Un cimitero di bambini, ha tuonato con dolore il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres. Ma la morte, le mutilazioni, i traumi e gli abusi non sono una novità in quella striscia di terra contesa e disperata. E sulla non-vita di quei bambini ha acceso i riflettori il rapporto stilato dalla Relatrice Speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, l’avvocata Francesca Albanese.

Dal 2008 al 6 ottobre 2023, stando al rapporto, 1434 bambini palestinesi sono stati uccisi, 1025 nella sola Gaza, e 32.175 sono stati feriti, principalmente per mano dell’esercito israeliano. Nello stesso periodo, 25 bambini israeliani sono stati uccisi, per lo più da palestinesi, e 524 feriti. I bambini, d’altronde, rappresentano la metà della popolazione palestinese (il 30 percento non raggiunge i 15 anni) e a loro Israele dovrebbe garantire protezione, nel rispetto delle convenzioni iternazionali a cui aderisce, compresa la Convenzione sui diritti dell’infanzia.

Ma «ogni anno le forze israeliane uccidono, mutilano, rendono orfani e detengono centinaia di bambini di tutte le età», in quella che è definita «una prigione a cielo aperto». Per la relatrice, siamo davanti a una violazione del diritto internazionale: oltre ad essere negato il diritto alla terra, ai mezzi di sostentamento, alla casa, alle cure e all’istruzione, ai bambini - spesso sottoposti ad arresto e detenzione a prescindere dalla loro età - è negato letteralmente il futuro. Con la conseguenza di un aumento esponenziale del rischio di radicalizzazione.

«Siamo meno umani?» è la domanda straziante che i bambini pongono agli osservatori internazionali. E il contesto è spiegato bene dalle dichiarazioni degli stessi militari israeliani: «Non ricordo bambini - ha dichiarato un ex soldato -. Quando indossi la tua uniforme siamo noi e loro». Una narrazione che ha un impatto forte anche sui bambini israeliani, educati alla paura e all’odio. Israele ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’infanzia nel 1991, la Palestina lo ha fatto nel 2014. Una firma che impone l’obbligo di «proteggere e realizzare i diritti dei bambini». Il che vuol dire salvaguardia del diritto alla vita, protezione dalla discriminazione, dallo sfruttamento, dai maltrattamenti e dalla violenza. Ma anche garantire cure, istruzione e un ambiente favorevole alla crescita fisica, mentale ed emotiva. Tutte cose che in Palestina sono assenti almeno dal 1967.

Le violazioni dei diritti dei bambini nei territori occupati «sono state ampiamente documentate», soprattutto dall’Unicef, cui la relazione rimanda, che parla di «bambini in detenzione militare israeliana». Una «violenza strutturale» quella subita, che si basa su un approccio «disumanizzante». Per le forze israeliane si tratta di «autodifesa» e la morte dei bambini «uccisi accidentalmente» sarebbe «irrilevante», come affermato su Twitter da Mauriche Hirch, uno dei tenenti dell’occupazione israeliana. Un’affermazione, rileva il report, purtroppo «non isolata». Nel corso di quattro operazioni compiute negli ultimi 15 anni le forze israeliane hanno effettuato 180 attacchi contro ospedali e cliniche mediche e colpito 80 ambulanze, uccidendo 41 operatori sanitari e ferendone 104. Inoltre, vaste aree residenziali sono state colpite di notte, quando intere famiglie palestinesi dormono, azioni che violano il diritto internazionale. Diritto violato dagli stessi palestinesi, il cui utilizzo di razzi rudimentali nella controffensiva può costituire «crimine di guerra». Di mezzo ci sono sempre i bambini, secondo cui la vita è un lutto costante: «Anche quando si sopravvive - afferma uno di loro - la vita diventa insopportabile».

L’accusa di Israele ai palestinesi di usare i minori come scudi umani non avrebbe trovato riscontro, stando a quanto appurato da una Commissione d’inchiesta dell’Onu. Così come non risulta verificata l’accusa di usare ospedali e scuole come rifugio per i terroristi. Innumerevoli gli attentati compiuti anche in situazioni prive di minacce, come durante una partita a pallone sulla spiaggia o attorno alla tomba di un proprio caro. E ad essere colpite sono anche le moschee - come quella di Al-Aqsa durante il Ramadan nel 2021, 2022 e 2023 -, mentre la sola Jenin è stata attaccata sette volte nel 2023. Una costante attesa della morte, tant’è che i bambini palestinesi in Cisgiordania hanno iniziato a portare in tasca lettere d’addio, come documentato da New Arab.

Se non sono la morte e le mutilazioni a distruggere l’infanzia, lo sono gli arresti arbitrari. Dal 2000 ad oggi, sono circa 13mila i bambini palestinesi detenuti, interrogati, processati e imprigionati, senza nemmeno la possibilità di essere assistiti o di vedere la propria famiglia. Una media di circa 600 bambini l’anno. L’accusa principale è «lancio di pietre contro i veicoli blindati delle forze israeliane», che può costare fino a 20 anni di carcere. E una volta arrestati, i bambini possono anche subire torture: sono 1598 i casi accertati in oltre un decennio. Viene negato l'accesso ad un avvocato, vengono deportati in Israele e le visite coi familiari ostacolate. Inoltre vengono chiusi in celle di isolamento senza finestre e con la luce sempre accesa, pratica vietata dalla Convenzione. I processi durano in media tre minuti ed è questo il momento in cui i bambini possono incontrare avvocato e famiglia. La condanna viene pronunciata in un minuto.

Secondo il rapporto, i palestinesi vivono al di sotto della soglia di povertà. Mezzo milione di bambini soffre di insicurezza alimentare e l’accesso all’acqua è limitato, poiché il 75 per cento delle acque sostenibili viene prelevato da Israele, mentre il resto risulta non adatto al consumo umano, con tutte le conseguenze sanitarie del caso. E per sopravvivere i bambini sopra i 10 anni sono costretti a lavorare, spesso entrando illegalmente in Israele, dove accettano di essere sfruttati e maltrattati. Dal 1967 ad oggi sono state demolite da Israele 56.500 case palestinesi. I permessi a costruire sono regolarmente negati e ciò comporta l’emissione costante di ordini di demolizione. «Prima mi hanno reso orfano, poi mi hanno reso un senzatetto», ha raccontato Samer, di 11 anni. Una «vita in prestito» nella quale anche l’istruzione è negata: nonostante i divieti internazionali, le scuole sono costantemente prese di mira. Dal 2010 sono stati distrutti 11 istituti, mentre incombono ordini di distruzione su altre 59 scuole. A novembre 2022 i militari hanno demolito l’unica scuola elementare di Masafer Yatta, mentre i bambini si trovavano ancora all’interno e costringendoli a scappare dalle finestre (online sono disponibili anche i video dell’operazione). Una costante esposizione alla violenza che rende i bambini vittime di «disturbo da stress traumatico continuo». Un trauma che può gettare i semi per l’odio: in assenza di diritti, la violenza è l’unica risorsa. Nessuno «è in grado di aiutarci», ha spiegato Rawan, 11 anni. In questa situazione, «possiamo farlo con il nostro corpo e la nostra vita».