Una bomba sotto il sedile dell’auto: è morto così ieri Hashi Omar Hassan, l’uomo che ha trascorso quasi 18 anni in carcere da innocente per l’assassinio di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo del 1994. Morto in auto, proprio come la giornalista Rai e il suo operatore, sulla cui morte non è ancora stata fatta chiarezza. L’attentato è avvenuto nel distretto di Dharkaynley, nel sud di Mogadiscio, dopo che sconosciuti hanno piazzato un ordigno esplosivo improvvisato sotto il suo veicolo, uccidendolo sul colpo.

L’omicidio non è stato ancora rivendicato, ma le modalità farebbero pensare ai militanti del gruppo terroristico Al- Shabaab, autori di attacchi simili nel Paese. Secondo Tonino Moriconi, per 20 anni legale di Hassan assieme al collega Douglas Duale, l’omicidio sarebbe da ricondurre senza dubbio alla mano dei terroristi islamici. «Lo hanno ammazzato a scopo di estorsione - ha riferito all’Agi -. Sono persone in cerca di soldi per fare gli attentati e se non sei d’accordo ti uccidono. Ed il denaro lui ce l’aveva per il carcere patito in Italia». Dopo essere ritornato in libertà, Hassan aveva intenzione di fare qualcosa per il suo Paese, ha sottolineato ancora Moriconi. «È una nazione martoriata, senza strade e case. Lui sognava di inserirsi nel settore dell’import- export. Faceva a volte tappa in Italia, ma andava anche in Svezia dalla figlia e poi da amici in altre città d’Europa».

Progetti che voleva portare a termine grazie ai tre milioni con i quali l’Italia lo aveva risarcito per l’ingiustizia subita. «È una cifra alta e dovuta a tutto il carcere che è stato fatto patire ad un innocente ha spiegato il legale -. Quei soldi però lo hanno ammazzato. Perché i terroristi lo hanno saputo ed evidentemente, dopo che lui non ha ceduto a qualche estorsione, lo hanno fatto saltare in aria. La tecnica del suo attentato dice tutto».

Secondo il difensore, dunque, la morte di Hassan non avrebbe a che fare con la vicenda Alpi- Hrovatin. «Per 20 anni ho ripetuto che lui non c’entrava niente con quella storia in tutte le aule di tribunale d’Italia e non solo. Era una persona tirata in mezzo ad una storia molto più grande. Altre volte era andato a Mogadiscio, non c’è alcun collegamento con il caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Solo il fatto che lui è rimasto in carcere tanto tempo a causa di una giustizia, quella del nostro Paese, che lo riteneva responsabile, quando invece non lo era». l’Ordine dei giornalisti e l’Usigrai – parti civili nel processo Alpi con l’avvocato Giulio Vasaturo – hanno annunciato l’intenzione di depositare una richiesta al pm di Roma, all’ambasciata italiana a Mogadiscio e a quella somala in Italia per sollecitare «indagini mirate sulle dinamiche dell’attentato», anche al fine di verificare «l’esistenza di un eventuale collegamento fra questo efferato delitto e l’inchiesta, tuttora in corso, sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo 1994».

L’uomo venne arrestato il 12 gennaio del 1998 su richiesta della procura di Roma per concorso in duplice omicidio volontario, perchè ritenuto un componente del commando di sette persone che affiancò l’auto di Alpi e Hrovatin, esplodendo numerosi colpi di kalashnikov prima di darsi alla fuga. Hassan venne prelevato dalla Digos di Roma mentre testimoniava davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle violenze dei soldati italiani nei confronti dei civili somali durante la missione di pace "Unisom": l’uomo era infatti intervenuto in difesa di alcune donne, vittime dei soprusi dei militari italiani. Il primo grado si concluse il 20 luglio del 1999, con un’assoluzione «per non aver commesso il fatto» a fronte di una richiesta di condanna all’ergastolo formulata dal pm Franco Ionta.

La sentenza venne però ribaltata il 24 novembre del 2000 e per il somalo scattarono le manette in aula. A contestare quella decisione furono anche i genitori di Ilaria Alpi, che sostennero le spese legali dell’uomo definendo la sentenza «una decisione di “comodo” che avrebbe dovuto accontentare tutti», ma non loro, che volevano «i mandanti veri».

Il 10 ottobre del 2001 la Corte di Cassazione confermò la condanna per omicidio volontario ma, annullando la sentenza di secondo grado limitatamente all’aggravante della premeditazione e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, rinviò il procedimento per nuovo esame, che si concluse il 26 giugno del 2002, con una condanna a 26 anni. Il 23 novembre del 2010 cominciò il processo per calunnia a carico del principale accusatore di Hassan, Ahnmed Ali Rage detto “Gelle”, conclusosi però con un’assoluzione: per i giudici si trattava di un teste credibile. Una verità che è sembrata immutabile fino a quando una giornalista di “Chi l’ha visto?”, Chiara Cazzaniga, non riuscì a fargli dire la verità: «Hassan è innocente, io neanche ero presente al momento dell’agguato. Mi hanno chiesto di indicare un uomo. Gli italiani avevano fretta di chiudere il caso».

Il 14 gennaio del 2016, dunque, la Corte d’appello di Perugia aprì il processo di revisione su richiesta della difesa. L’assoluzione arrivò il 19 ottobre del 2016, giorno in cui Hassan tornò dunque in libertà. Il 17 febbraio del 2017 la procura di Roma avviò una inchiesta sull’anomala gestione in Italia di Gelle, chiusa però dopo sei mesi, in quanto secondo i pm era impossibile risalire ai mandanti e agli esecutori materiali del duplice delitto, senza avere in mano alcuna prova di presunti depistaggi. Il risarcimento venne stabilito il 30 marzo del 2018 dalla corte d’appello di Perugia: 500 euro per ognuno dei 6.363 giorni trascorsi in cella.