Una giornata drammatica in Turchia quella del 27 febbraio, un'ondata di femminicidi infatti ha attraversato il paese come mai prima d’ ora: sette donne assassinate in un giorno. Una piaga che affligge tutte le società, ma che sulle rive del Bosforo ha assunto un carattere endemico e fuori controllo, favorito anche dalle politiche ultra conservatrici del governo del presidente Erdogan.

È stata l’emittente privata Haber Türk a riportare la notizia dei sette femminicidi: tutte uccise dal coniuge o dagli ex partner. Da Izmir a Bursa, da Sakarya a Erzurum, da Denizli a Istanbul. Un tragico bollettino che dunque ha riguardato sia le grandi città del paese situate nell'ovest come quelle che sorgono sulla costa dell'Egeo o a nord nell'Anatolia orientale, zona agricola e arretrata, il serbatoio elettorale di Erdogan.

I giornalisti di Haber Türk hanno citato i nomi delle vittime e pubblicato sul web la foto di ciascuna di esse. Le donne brutalmente assassinate avevano un'età compresa tra 32 e 49 anni, uccise da armi da fuoco o coltellate; almeno tre degli assassini si sono suicidati mentre due sono stati arrestati. Un altro ferito durante l'arresto è morto per cause sconosciute. Non è invece stata rivelata la sorte del settimo uomo che era addirittura evaso dalla prigione dove era recluso per andare a uccidere la moglie.

Il 27 febbraio così è stato solo l'apice di una situazione andata via via peggiorando nel corso degli anni. Nel 2023, la piattaforma di difesa dei diritti delle donne We Will stop femminicides ha registrato 315 omicidi di donne, di cui il 65% di esse sono state assassinate nelle loro case, nel conteggio ci sono anche 248 casi definiti morti sospette, quelle che le autorità giudiziarie hanno derubricato come suicidi ma che le organizzazioni femministe attribuiscono ad altri avvenimenti violenti che spiegano l'esponenziale aumento dei femminicidi in Turchia negli ultimi 15 anni.

A tutto ciò ha contribuito l'accanimento delle autorità proprio contro le organizzazioni non governative che cercano faticosamente di porre un freno alle violenze, sia proponendo una diversa e più severa legislazione sia con un opera di informazione. Un'attivita che costa caro e espone a pericoli, come dimostra il caso proprio di We Will stop femminicides, fondata nel 2010 dopo la morte di Münevver Karabulut ( una studentessa delle superiori assassinata il 3 marzo 2009 da un uomo, Cem Garipolou suicidatosi in seguito in carcere), la piattaforma ( KCDP) è stata una delle protagoniste più attive del movimento delle donne in Turchia negli ultimi 12 anni.

Compila rapporti mensili, segue cause legali sulla violenza contro la comunità LGBTI+ e le donne e porta la protesta nelle strade. La piattaforma però è stata incredibilmente citata in giudizio l' 8 dicembre 2021 da un pubblico ministero di Istanbul con l'accusa di svolgere attività illegali e immorali. L'accusa aveva chiesto lo scioglimento dell'organizzazione, ma anche grazie alle iniziative internazionali è scampata alla persecuzione e ha potuto continuare il suo lavoro. Che l'ondata di femminicidi sia in qualche modo la conseguenza dell'atteggiamento governativo lo dimostra il fatto che l'unica diminuzione del tasso di morti sia avvenuto nel 2011, anno in cui è stata adottata la Convenzione di Istanbul della quale la Turchia era stata la prima firmataria. La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica è un trattato internazionale teso a prevenire non solo la violenza, ma anche a favorire la protezione delle vittime ed impedire l'impunità dei colpevoli. Uno strumento di protezione eliminato che ha lasciato le donne turche ancora piu esposte alla cultura machista.