Nella “dottrina Trump” una predilezione particolare viene data agli affari interni, che, però, per essere ben tutelati non possono non rivolgere lo sguardo oltre il cortile di casa. Poco dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, all’inizio dell’anno, The Donald ha avviato una lotta senza quartiere contro le gang sudamericane, comprese quelle venezuelane, considerate molto pericolose per l’ordine pubblico.

Per sradicare dal suolo statunitense o contrastare in maniera sempre più efficace le bande criminali l’amministrazione Trump ha chiesto e ottenuto il sostegno di alcuni Paesi del Centro e Sudamerica. Il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ha offerto collaborazione per accogliere gli immigrati espulsi dagli Stati Uniti, a partire dagli affiliati alla gang venezuelana “Tren de Aragua”, nel famigerato Centro per il confinamento del terrorismo. Si tratta della più grande prigione del continente con una capienza di circa 40 mila detenuti.

La mano pesante contro i criminali venezuelani è solo una parte della politica che sta adottando Washington contro Caracas. Nelle ultime settimane si sono susseguiti gli attacchi nell’Oceano Pacifico e nel Mar dei Caraibi contro imbarcazioni sospettate di trasportare droga con destinazione finale il mercato illegale degli Stati Uniti. Da settembre le forze armate statunitensi sono intervenute ben otto volte, provocando la morte di oltre trenta persone. Interventi che hanno suscitato più di qualche perplessità in quanto avvenuti in acque internazionali. La strategia di Donald Trump nel “cortile di casa” è chiara. Per quanto riguarda il Venezuela l’obiettivo è rimuovere dal potere Nicolás Maduro. Il presidente del Venezuela, tra l’altro, è stato accusato nel 2020 negli Stati Uniti per traffico internazionale di droga.

Il New York Times ha rivelato nei giorni scorsi che l’amministrazione Trump ha autorizzato la Cia a condurre «operazioni segrete in Venezuela, intensificando la campagna contro Maduro» con la pianificazione addirittura di azioni via terra. Nella regione il Pentagono ha schierato circa 10mila soldati; la maggior parte di loro si trovano nelle basi di Porto Rico.

Gli Stati Uniti tengono sotto stretta osservazione il Venezuela per un’altra ragione. Durante un’audizione al Senato, svoltasi martedì scorso, alti rappresentanti del Tesoro e del Dipartimento di Stato hanno posto all’attenzione dei repubblicani e dei democratici la singolare alleanza tra criminalità e Hezbollah. Quasi decapitato in Libano, il gruppo terroristico ha messo radici profonde nel Sudamerica, in particolare in Venezuela, dove per sostenersi e finanziare gli affiliati rimasti in Medio Oriente si dedica al traffico di cocaina.

La rete criminale di Hezbollah si dedica pure al riciclaggio di denaro e ha creato un articolato sistema per la creazione di passaporti falsi con il beneplacito delle autorità statali. Non a caso il Venezuela è stato definito dagli Usa «il più importante facilitatore di Hezbollah in America Latina». Secondo Marshall Billingslea, ex alto funzionario del Tesoro, intervenuto al Senato tre giorni fa, «il Venezuela è un rifugio sicuro per quella che resta l’organizzazione terroristica straniera più pericolosa per gli Stati Uniti».

I senatori repubblicani Sheldon Whitehouse (Illinois) e John Cornyn (Texas) hanno evidenziato che la presenza da molti decenni di Hezbollah in Sudamerica rappresenta una minaccia per tutto il continente e richiede un’azione coordinata da parte degli Stati Uniti con gli alleati regionali. L'ambasciatore Nathan Sales, ex coordinatore antiterrorismo del Dipartimento di Stato, ha esortato i Paesi sudamericani, in particolare Brasile e Messico, a considerare Hezbollah nella sua interezza come un’organizzazione terroristica.

Nel mirino di Washington è finita anche la Colombia. La tensione tra le due capitali è salita alle stelle. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha affermato che gli Stati Uniti, dopo aver affondato diverse imbarcazioni per contrastare il traffico di cocaina, hanno causato la morte di alcuni civili. In un lungo post su X Petro ha accusato gli Stati Uniti di omicidio. «Che si tratti dei Caraibi o del Pacifico – ha scritto - la strategia del governo statunitense viola le norme del diritto internazionale e la Colombia rispetta sempre il diritto internazionale».

Da qualche giorno è in corso un botta e risposta tra Trump e Petro. In passato i rapporti tra Stati Uniti e Colombia sono stati all’insegna di una collaborazione rispettosa. Ora tutto è cambiato. A detta di Trump, Petro è un «signore della droga che incoraggia la produzione massiccia di stupefacenti nel suo Paese» ed è «il peggior presidente che la Colombia abbia mai avuto». Il presidente del Paese sudamericano, leader di sinistra, ritiene di essere stato diffamato e calunniato, per questo intende portare davanti ad un tribunale statunitense il tycoon. Nella diatriba si è inserito il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, che ha definito “pazzo” Gustavo Petro. La strategia è chiara: gli Stati Uniti sono intenzionati a mettere ordine nel “cortile di casa”, sempre più agitato.