Altro che creativi e guru della comunicazione: la foto perfetta per la prossima campagna presidenziale gliel’ha scattata il fotografo del tribunale di Atlanta. Per giunta gratis.

Il mug shot (l’immagine segnaletica di chi subisce un’incriminazione formale) di Donald Trump è infatti destinato a diventare l’icona assoluta delle prossime elezioni presidenziali, a finire stampata su milioni di magliette, sciarpe, striscioni, asciugamani, tazze, bicchieri e altri gadget. Per cifre che vanno dai 12 ai 34 dollari si possono acquistare adesivi, custodie termiche per bottiglie, mentre magliette a maniche lunghe e corte, bianche e nere, possono arrivare a costare fino a 50 dollari.

Da ieri mattina la foto campeggia a tutto schermo sull’homepage del sito di The Donald che l’ha rilanciata anche dal suo profilo X (ex Twitter) da cui era assente da oltre un anno con l’inequivoca didascalia: «Non arrendersi mai!». Lo sguardo di sfida dell’ex presidente, illuminato da un sapiente fascio di luce sul profilo sinistro, trasuda carisma e determinazione, come un villain della Marvel, uno di quei supercattivi capaci di rubare la scena agli scontatissimi e noiosissimi eroi.

La strategia mediatica del tycoon è palese: rovesciare le gravi accuse che gli ha rivolto la procura della Georgia, 13 capi di imputazione tra cui il tentativo di sovvertire l’esito del voto del 2020 che vide la vittoria del democratico Joe Biden. E accusare sua volta i giudici di seguire un preciso disegno politico ordito dai suoi avversari dem per farlo fuori dalle elezioni del 2024 che è convinto di stravincere: «È una parodia di giustizia e un’interferenza elettorale» aveva tuonato Trump pochi minuti prima di consegnarsi in tribunale da cui è uscito solo perché ha pagato una cauzione da 200mila dollari.

Anche se l’odissea giudiziaria ha rivitalizzato i suoi sostenitori polarizzando ancora di più il confronto politico e l’azione dei procuratori sembra destinata compattare l’elettorato repubblicano, ci sono buone probabilità che i processi a carico di Trump si concludano con diverse condanne e persino con la sua carcerazione. Come ha calcolato recentemente il Washington Post, se fosse dichiarato colpevole per tutte le accuse, cumulerebbe il verdetto monstre di...640 anni di prigione, un numero che fa venire le vertigini solo a pensarlo. L’assurdo sistema giudiziario d’oltreoceano prevede infatti che si possa essere condannati per un singolo reato ogni volta che sia stata commessa l’infrazione. Ad esempio: nel caso Stormy Daniel (l’ex pornostar che Trump avrebbe pagato illegalmente per tacere della loro relazione) gli sono stati contestati 34 versamenti di denaro, ognuno punibile con quattro anni di dsetenzione per un totale di 136 anni.

Uno scenario paradossale e quasi da guerra civile l’arresto di The Donald: il favorito per la corsa alla Casa Bianca che verrebbe “eliminato” dai giudici e non dagli elettori. Ma anche ammettendo che il tycoon venga condannato e sbattuto in prigione, questo non gli impedirebbe di essere eletto per la seconda volta. La Costituzione in tal senso parla chiaro: per diventare presidente basta essere cittadini americani, nati negli Stati Uniti e avere almeno 35 anni di età. Secondo la legge i tribunali possono dichiarare ineleggibili i deputati locali che hanno subito una condanna ma questo non vale per i mandati federali, voto presidenziale e per il Congresso.

Come sottolinea il sito web Politico, esiste un precedente di oltre cento anni fa: si tratta del socialista Victor Debs che nel 1920 fece campagna elettorale mentre era in cella (sempre in Georgia) per scontare una condanna a dieci anni di reclusione per aver invitati i giovani americani a disertare il fronte della Prima guerra mondiale. Il suo slogan era in qualche modo molto “trumpiano”: «Eleggete presidente il condannato numero 9653».