DURANTE LA SUA AMMINISTRAZIONE ÈSTATO BATTUTO IL RECORD FEDERALE DI GIUSTIZIATI

Un triste primato mentre i singoli Stati vanno verso l’abolizione Dopo la sconfitta del tre novembre un’ulteriore impennata

«La follia delle esecuzioni, così il rapporto di fine anno ( pubblicato ieri) del Death Penalty Information Center ( DPIC) definisce la serie di condanne a morte eseguite a livello federale durante l’amministrazione Trump. La sua presidenza è stata contrassegnata da una tendenza unica nella storia degli Stati Uniti. Solo riferendosi ai dati del 2020, i prigionieri giustiziati sono stati 10, un numero superiore a tutte le esecuzioni messe insieme dei singoli stati che sono state 7 ( il decremento maggiore dal 1991). Con la pandemia di coronavirus le esecuzioni a livello statale si sono ulteriormente assottigliate. In diversi casi sono state sospese o rimandate, solo Alabama, Georgia, Missouri, Tennessee e Texas hanno mantenuto in funzione la camera della morte. E solo il Texas ha eseguito più di una condanna, facendone registrare il minor numero dal 1983.

L’atteggiamento para negazionista di Trump nei confronti del Covid - 19 ha gonfiato il numero delle iniezioni letali provocando però un incremento delle infezioni. E’ successo ad esempio nel Correctional Complex di Terre Haute, nell'Indiana, dove secondo il rapporto del DPIC, si sono contagiati almeno nove membri delle squadre di esecuzione. Per Robert Dunham, direttore del DPIC e autore principale del rapporto «le politiche dell'amministrazione sono completamente incongruenti con le tendenze statali odierne». Una discrepanza che ha portato la giustizia federale a superare anche i limiti e gli standard stabiliti dagli stessi sostenitori della pena di morte.

Le esecuzioni sono aumentate da quando Trump ha perso le elezioni del 3 novembre. Solitamente il presidente uscente blocca le esecuzioni in programma, si tratta del cosiddetto periodo zoppo che precede l’ingresso di un nuovo inquilino della Casa Bianca. La trasgressione di questa regola non scritta risale al 1889. Un fattore di non poco conto è che le ultime esecuzioni hanno riguardato uomini afroamericani, lo stesso DPIC mette in evidenza che le «disparità razziali» rimangono predominanti per le condanne a morte. Lo stesso vale in altri casi come quelli che riguardano minoranze etniche. Ad agosto è stato giustiziato l’unico prigioniero nativo americano ( Lezmond Hill) nel braccio della morte federale. La sua esecuzione ha ignorato la sovranità tribale sul caso e le obiezioni della nazione Navajo che si oppone alla pena di morte. Non sono stati risparmiati neanche coloro che al tempo del reato erano minorenni o poco più che maggiorenni. Il recente caso Bernard ha visto la messa a morte ( oltre che dello stesso Bernard) di Christopher Vialva che di anni ne aveva 19. I due sono stati i primi giovani ad essere uccisi dal governo degli Stati Uniti in quasi 70 anni. E ciò va in contrasto con quanto sempre più legislatori statali, legali di minori ed esperti di neuroscienze vanno sostenendo, cioè che la personalità di un minore non è ancora del tutto sviluppata.