I contatti tra i Ros e Vito Ciancimino, che secondo la motivazione della sentenza della Corte di Palermo sarebbe stato l’inizio della trattativa Stato- mafia, furono messi nero su bianco nel verbale di interrogatorio effettuato dalla procura di Palermo. Era già in carcere Vito Ciancimino quando si insediò Gian Carlo Caselli nella procura palermitana e fu il generale dei Ros Mario Mori a prospettargli la possibilità di una sua formale collaborazione forse utile in tema di appalti. Caselli aprì allora un fascicolo e lo assegnò ad Antonio Ingroia, all’epoca sostituto procuratore. In quest’ambito Caselli e Ingroia effettuarono vari interrogatori: sempre integralmente verbalizzati. In uno di questi verbali c’è, appunto, la dichiarazione spontanea di Ciancimino dove racconta dei vari incontri avuti con i Ros prima del suo arresto. L’interrogatorio verbalizzato è avvenuto una mattina di marzo del 1993 nel carcere romano di Rebibbia, innanzi a Caselli e Ingroia, assistititi per la redazione del verbale dall’allora capitano dei Ros Giuseppe De Donno, con la presenza ovviamente di Vito Ciancimino assistito dal suo avvocato.

Un verbale che sostanzialmente conferma che la “trattativa” ( termine che compare proprio nel verbale) consisteva semplicemente in una proposta avanzata dai Ros: «Consegnino alla Giustizia alcuni latitanti grossi e noi garantiamo un buon trattamento alla famiglia». In che modo? Ricostruendo un sistema mafia- appalti attraverso Vito Ciancimino stesso che avrebbe ripreso dei contatti con il mondo imprenditoriale in odor di mafia, assicurando al suo «interlocutore- ambasciatore» che avrebbe potuto ricreare un rapporto tra le imprese senza che potesse «riprodursi l’effetto Di Pietro». Chi era questo interlocutore? Dal verbale risulta che Ciancimino dichiarò che era il dottor Antonino Cinà, personaggio di primissimo piano: era il medico di fiducia di Riina, Provenzano e Bagarella, cioè del vertice di Cosa Nostra. Il dottor Cinà è tra i condannati in primo grado nel processo “trattativa”.

Lo scopo ultimo di questa trattativa era quello di arrestare tutti i coinvolti e magari raggiungere esponenti mafiosi di alto livello, come riferì il generale Mori durante una sua dichiarazione spontanea durante il processo sulla trattativa. Si trattava in pratica di far diventare Ciancimino «una sorta di agente sotto copertura». La cosa però saltò, non se ne fece più nulla, perché poi Ciancimino – mezzora dopo quel colloquio con i Ros – venne tratto in arresto. Tutto questo è scritto nero su bianco nel verbale redatto innanzi alla presenza degli allora Procuratore Caselli e Sostituto Ingroia.

Diversi sono i passaggi nel verbale dove Ciancimino ricostruisce i contatti. Partendo proprio dalla genesi, quando, nell’ottica di acquisire elementi utili alla prosecuzione delle indagini per giungere all’individuazione dei responsabili degli omicidi del 1992 - in particolare per quanto attiene la strage di Capaci ( siamo dopo l’attentato di Capaci e prima di quello di via D’Amelio) - l’allora capitano dei Ros De Donno ritenne che, opportunamente contattato, Vito Ciancimino avrebbe potuto accettare il dialogo e, al limite, accondiscendere a qualche forma di collaborazione. Le sollecitazioni provenienti da De Donno – tutto scritto nel verbale – inizialmente furono respinte da Vito Ciancimino, il quale, poi, dopo la strage di via D’Amelio ( «che mi ha inorridito», è scritto nel verbale), decise di cambiare idea e di ricevere De Donno nella sua abitazione romana. Iniziarono i primi contatti, ai quali in seguito partecipò anche il capo dei Ros Mario Mori con l’intento di trattare Ciancimino come una fonte confidenziale, seppure tutta da valutare. Fu Mori che decise anche, sulla base delle facoltà concessa dal codice di rito, di non informare, in quella fase, la Procura della Repubblica di Palermo, che all’epoca era guidata dal Procuratore Giammanco ed era al centro di una furiosa battaglia interna tra i vari magistrati ( Gian Carlo Caselli arriva nel gennaio del 1993). L’intento degli incontri era di ottenere la collaborazione di Ciancimino o almeno qualche informazione utile ai fini delle indagini che avevano in corso. Tutto qui e ben riportato dal verbale redatto nel ’ 93 e visionato da Caselli e Ingroia. Non emerse, appunto, nulla che potesse ricondurre alla “trattativa Statomafia”.