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Lo yemenita Ramzi bin al-Chaïba, 51 anni, sarebbe dovuto comparire in aula insieme ad altri quattro imputati per rispondere degli attentanti dell’11 settembre negli Stati Uniti. Rischiava la pena di morte. Ma a causa delle conseguenze psicologiche legate alle torture subite durante la detenzione, il tribunale militare di Guantanamo ieri ha deciso che l’imputato non può essere processato: secondo il giudice Matthew McCall la salute mentale dell’uomo versa in condizioni tali da impedirne l’esercizio della difesa.
A riportare la notizia è il New York Times: la testata americana spiega che i medici di Guantanamo bay, il campo di prigionia americano aperto 21 anni fa sull’isola di Cuba, hanno diagnosticato a Ramzi un disturbo da stress post-traumatico e caratteristiche psicotiche, oltre a un disturbo delirante. Nel rapporto presentato ai giudici militari, gli psichiatri sostengono che le sue condizioni lo hanno reso «incapace di comprendere la natura del procedimento contro di lui o di cooperare in modo intelligente» con il suo team legale. Che in un rapporto depositato al giudice lo scorso 25 agosto, aveva sostenuto che l’imputato «non è psicologicamente in grado di difendersi, di affrontare un processo, né di dichiararsi colpevole».
Considerato un terrorista islamico dagli Stati Uniti, Ramzi bin al-Chaïba è stato accusato di aver contribuito al finanziamento degli attentati e di aver preso parte all’organizzazione della cellula di al-Qaeda ad Amburgo, in Germania, che ha dirottato uno dei due aerei che si sono schiantati contro il World Trade Center a New York. Dopo l’arresto nel settembre 2002 in Pakistan, è stato trasferito a Guantanamo nel 2006, entrando così a far parte della trentina di «detenuti fantasmi» imprigionati nelle carceri segrete degli Usa. La difesa sostiene che sia stato torturato dalla Cia, che lo ha fatto «impazzire» con l’applicazione di quelle che l’agenzia definisce “tecniche di interrogatorio avanzate”: privazione del sonno, pestaggi, e il famigerato “waterboarding”, l’annegamento simulato. Dopo le torture subite Ramzi lamenta di essere «tormentato da forze invisibili che fanno vibrare il suo letto e la sua cella e che gli pungono i genitali, privandolo del sonno».
Il detenuto sarebbe dovuto comparire in aula per l’udienza preliminare insieme a Khaled Sheikh Mohammed, considerato la mente degli attentati dell’11 settembre, e gli altri tre imputati, tutti detenuti da più di quindici anni a Guantanamo e non ancora processati.
Dal 2002 sono state 780 le persone incarcerate a Guantánamo Bay: tutti prigionieri, “nemici combattenti”, rilasciati nel corso degli anni, e sparpagliati in 59 paesi. Per un totale di sole otto condanne emesse, due delle quali vengono attualmente scontate all’interno del centro di detenzione.
All’interno del campo ora restano 31 detenuti, dopo l’ultima scarcerazione nella primavera scorsa. Si tratta di Ghassan al-Sharbi, un 49enne di nazionalità saudita, uscito da Guantanamo dopo 21 anni. La sua scarcerazione era stata autorizzata già nel febbraio 2022, ma ci sono voluti altri 13 mesi perché venisse rimpatriato.
Come riporta Amnesty International, «il principale sospetto nei suoi confronti era che, negli Usa, avesse preso parte a un corso di volo insieme a due degli attentatori dell’11 settembre. Nonostante accuse e sospetti, al-Sharbi non era mai stato processato. Anzi, nel 2008 le accuse erano decadute».