Ennesimo suicidio in carcere che riguarda la situazione psichiatrica, oramai ingestibile, dei detenuti. La tragedia è avvenuta martedì sera nell’istituto penitenziario “Coroneo” di Trieste. Si è suicidato, impiccandosi, in cella di isolamento dove era finito per motivi disciplinari. Veniva soprannominato “Tarzan”, un uomo, 46enne, di origini bosniache e arrestato per rapina. Soffriva di problemi psichiatrici, per questo non era un tipo tranquillo. Qualche giorno prima aveva innescato un incendio e aggredito un agente mandandolo in ospedale. Non è stata la prima volta in cui avrebbe dato segni di squilibrio. Selimovic, questo era il suo cognome, nel 2014 a Cagliari per due settimane aveva terrorizzato medici e pazienti di un ospedale dove ha fatto irruzione ogni giorno armato di coltello per minacciare i medici e farsi consegnare soldi e farmaci. Viene tratto in arresto, poi scarcerato e indagato in stato di libertà. Niente da fare, ricomincia. Il 27 marzo del 2017, questa volta entra all’ospedale Cattinara di Trieste: aveva prima infastidito un ricoverato e poi gli aveva strappato di mano il cellulare scappando. Il ricoverato lo aveva inseguito e recuperato il telefono, ma Tarzan lo aveva colpito con una sedia. Subito dopo, in un’altra zona dell’ospedale ha divelto sedie e suppellettili fino all’arrivo della Polizia che lo ha arrestato per rapina e danneggiamenti. Rin- chiuso al Coroneo da un anno e mezzo è stato ristretto nelle celle di isolamento del reparto psichiatrici, perennemente imbottito di psicofarmaci - pare che avrebbe subito almeno un Tso durante questa detenzione -, fino a mercoledì sera quando si è suicidato. La notizia della tragedia ha colpito profondamente tanto gli operatori carcerari quanto i detenuti, pare avvisati il mattino successivo dagli addetti alla distribuzione della colazione. La direzione del carcere aveva fatto domanda per il trasferimento del bosniaco in un istituto adatto e attrezzato per le persone con patologie psichiche che necessitano di un’assistenza sanitaria specifica e costante. Il Coroneo era quindi in attesa di una risposta dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Troppo tardi.

L’assistenza psichiatrica in carcere è uno dei problemi irrisolti. Tanti, troppi detenuti soffrono di questa patologia mentale e non tutti gli istituti penitenziari sono adatti per contenerli. Gli agenti penitenziari, d’altronde, non possono gestire una situazione che è di competenza degli operatori sanitari, medici e psichiatrici. Qui si aggiunge il discorso complessivo dell’assistenza sanitaria. Non a caso, Franco Corelone, il garante dei detenuti della regione Toscana, ha indetto tre giorni di digiuno per porre l’attenzione al grave problema della salute mentale in carcere. Ha puntato l’indice alla riforma dell’ordinamento penitenziario approvato dal governo legastellato che non ha contemplato pienamente i decreti della riforma originaria. Tra questi l’equiparazione tra la salute fisica con quella mentale e la realizzazione delle sezioni psichiatriche dedicate nei penitenziari. Poi c’è il problema delle Rems ( residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitarie), già piene, dove rischiano di diventare una discarica e quindi delle mini Opg.

Con l’ennesima tragedia siamo giunti a 45 sucidi dall’inizio dell’anno, per un totale di 105 morti. Il penultimo suicido è avvenuto a settembre nell’ospedale di Ponticelli. Si chiamava Giovanni Guglielmo, 32enne residente a Pozzuoli, finito in carcere dopo aver ucciso la madre a coltellate nel giugno scorso. Aveva dei profondi disturbi mentali. Si è alzato dal letto, ha chiesto agli agenti della Polizia penitenziaria che lo piantonavano di poter uscire per fumare una sigaretta ed è volato giù nel vuoto battendo violentemente la testa sul selciato. Morto sul colpo. È stata informata la Procura, ed è toccato al procuratore aggiunto e vicario, Nunzio Fragliasso, il doloroso compito di informare il padre della vittima, il giudice Gianpaolo Guglielmo. Per lui una tragedia nella tragedia: dopo la perdita della moglie, ora arriva anche quella del figlio.