Secondo Marco Tarchi, politologo dell’università di Firenze, «solo Conte sa (forse) cosa vorrebbe fare dopo» un eventuale uscita dal governo e sul futuro dell’esecutivo Draghi è chiaro: «è convinzione diffusa che arrivare alle elezioni con Draghi più o meno tranquillamente in sella possa costituire un’ipoteca sulle scelte da fare dopo che si sarà conosciuto il risultato delle urne - spiega - per il momento, non credo che un simile scenario possa essere bene accetto al centrodestra, mentre potrebbe non dispiacere ai suoi avversari».

Professor Tarchi, oggi è il giorno del confronto tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il leader M5S, Giuseppe Conte: crede che si arriverà a uno strappo?

Dipende dalle considerazioni che Conte e i suoi faranno sul rapporto costi-benefici della presenza al governo. Dopo lo strappo di Di Maio, è sempre più probabile che le pressioni interne per un distacco aumenteranno, ma non è chiaro quali prospettive si aprirebbero a un M5S in libera uscita, sospeso fra governo e opposizione. Solo Conte sa (forse) cosa vorrebbe fare dopo: accettare l’idea di calarsi nel ruolo di piccolo partito di sinistra destinato per forza di cosa ad allearsi con Pd e Leu, malgrado le minacce di Franceschini di opporsi qualsiasi accordo elettorale in caso di fuoriuscita dell’esecutivo, o cercare il rilancio del movimento delle origini, che però comporterebbe un rientro di Di Battista e di altri come lui e finirebbe col riportare l’ex presidente del Consiglio a quel ruolo di mero uomo- immagine che per lui era stato pensato nel 2018? Ambedue le strade sono comunque accidentate, e non escludo che prevalga l’idea di tenere i piedi in due staffe, continuando a minacciare astensioni o voti contrari su questo o quel provvedimento salvo rientrare poi nei ranghi imputando la ritirata ai “superiori interessi del paese”.

A proposito di minacce, i prossimi mesi saranno sicuramente di fuoco, visto che ci avviciniamo alla campagna elettorale per le prossime Politiche: pensa che il governo possa essere messo in difficoltà fino a una crisi?

Se non ci fosse stata la guerra russo- ucraina, forse questo sarebbe già accaduto. Questo governo è nato in un clima di emergenza, alimentato soprattutto sul piano mediatico, grazie all’iniziativa di Mattarella, e in virtù di quel richiamo continua a esistere. Il covid, il Pnrr, Putin… Tutto è buono per convincere l’opinione pubblica che ogni cambiamento di timoniere sarebbe “un salto nel buio”. In queste condizioni, non è da escludere che la crisi possa essere rinviata sino al penultimo momento.

Ma quanto può durare un esecutivo «in queste condizioni»?

È convinzione diffusa che arrivare alle elezioni con Draghi più o meno tranquillamente in sella possa costituire un’ipoteca sulle scelte da fare dopo che si sarà conosciuto il risultato delle urne. Per il momento, non credo che un simile scenario possa essere bene accetto al centrodestra, mentre potrebbe non dispiacere ai suoi avversari. Ma è difficile immaginare una Lega che, dopo essersi tanto spesa per darsi una immagine di affidabilità governativa, si azzardi a rompere. Quindi, l’esecutivo attuale ha più di una chance di reggere. Salvo strattoni sul versante Cinque Stelle.

Ha parlato della Lega, nella quale crescono i malumori, visti i sondaggi in calo e i ripetuti disaccordi tra Salvini e Giorgetti. Come si muoverà il Carroccio nelle prossime settimane?

È difficile capire come ci si possa stupire, dall’interno della Lega, dell’andamento dei sondaggi. Era chiaro fin dall’inizio che l’impennata del Papeete dell’estate 2019, voluta e preparata da Giorgetti, avrebbe condotto a una progressiva perdita di consensi. Personalmente, avevo ipotizzato un dimezzamento del 34 e passa per cento ottenuto alle Europee. Pare fossi troppo ottimista. Quando ci si presenta all’elettorato esibendo temi e toni populisti per anni, si cavalca la protesta e se ne viene premiati, e poi di punto in bianco si fa dietrofront e si indossano i panni della moderazione e del compromesso, non può che andare a finire così. Lo stiamo verificando sia nel caso della Lega sia in quello del M5S. E uscire dal vicolo cieco non è facile. Non capisco però se Salvini si sia definitivamente arreso alle intenzioni del suo ipotetico vice oppure no. Nel primo caso, il futuro leghista è il rientro nelle roccaforti tradizionali, e con un peso minore, per svolgere, tutt’al più, il ruolo di una Forza Italia-bis.

Romano Prodi ha sferzato il Pd nel guardare a un centrosinistra che parli a Renzi, Calenda, Sala e Di Maio, lasciando indietro Conte: crede che Letta seguirà questa strada?

Non c’è da stupirsi di questo invito: Prodi crede che il tempo dell’Ulivo non sia mai finito e che solo il destino cinico e baro, per dirla col Saragat di settant’anni fa, abbia impedito alla sua creatura di continuare a mietere successi. Ma gli interlocutori di cui parla, soprattutto Renzi e Calenda, non si piegherebbero mai a fare da semplici compagni di strada del Pd.

Cioè?

Certamente vorrebbero piegarlo alle loro opinioni e soprattutto ai loro scopi, perlopiù personali. Se Letta accettasse le pretese di alleati così poco affidabili, potrebbe pagarne un conto salato. Forse gli converrebbe lasciare che questi aspiranti federatori di un centro dalle venature più o meno progressiste, sul terreno culturale, non su quello socioeconomico, misurassero la loro forza elettorale in autonomia, per verificare l’attendibilità delle loro pretese in vista di occasioni di alleanza più in là nel tempo.

Dall’altra parte, pensa che il centrodestra riuscirà ad arrivare compatto alle prossime Politiche o disagi interni a Forza Italia e la corsa alla leadership tra Salvini e Meloni potrà creare dei problemi?

I problemi ci sono già, e sono forti. Le invidie serpeggiano non solo tra Salvini e Meloni, ma soprattutto da parte di Forza Italia, sempre sull’orlo di una deflagrazione, e i due personaggi citati. La convinzione di essere indispensabili al successo elettorale fa dei “moderati” alleati poco affidabili, il cui primo obiettivo è delegittimare i compagni di cordata. È da questo campo che giungono le bordate contro Giorgia Meloni, nel tentativo di azzoppare la sua candidatura ad una futura presidenza del Consiglio e far circolare candidati “più credibili”, come Tremonti. Non da sinistra. Persino un antifascismo fuori dal tempo torna utile allo scopo. Non è un segnale confortante.