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Anna Di Vittorio e Gian Carlo Calidori ricevuti dall'allora presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini
È morto di cancro Gian Carlo Calidori, un eroe civile, stremato da una sofferenza superiore anche alle sue straordinarie forze. Al suo fianco c’era Anna Di Vittorio, compagna di una vita. Insieme, più di vent’anni fa, avevano iniziato un lungo percorso per liberarsi della condizione di vittime del terrorismo: lei sorella di Mauro, lui amico di Sergio Secci, due degli 86 morti alla stazione di Bologna, la mattina del 2 agosto 1980. Nasce da un loro lungo lavorio ai fianchi dei vertici della Repubblica l’istituzione della “giornata della memoria” del 9 maggio. La successiva tappa avrebbe dovuto essere un “tavolo della riconciliazione” alla sudafricana. Intanto si erano spinti avanti, dandone testimonianza in prima persona, giungendo a offrirla ai reprobi per eccellenza: Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, condannati per quella strage. Gli sviluppi della vicenda sono noti a una ristretta cerchia di lettori dei miei blog o di pagine social dedicate agli anni di piombo: i due terroristi neri traducono l’offerta nel linguaggio penale e accettano un perdono che non era stato ancora offerto. Una successiva lettera ad hoc di Anna è allegata alla domanda di liberazione condizionale di Mambro e concorre al suo accoglimento.
PERDONO VS RICONCILIAZIONE
Le due cose non sono intercambiabili: la riconciliazione è una relazione tra pari, il perdono crea un vincolo di potere e di dipendenza. Ne ha scritto approfonditamente Maria Rita Parsi, in “Ingrati. La sindrome rancorosa del beneficato”. Un concetto già noto, alla vigilia della guerra, a Eduardo De Filippo, che vi dedica uno dei testi della sua stagione “pirandelliana”, Io, l’erede, in cui il beneficato, appunto, rivendica il diritto di tartassare il benefattore. In quel caso come risarcimento per quella che oggi chiamiamo “una perdita di chance”…
UN LIBRO PER FARE CHIAREZZA
La storia è ricostruita mirabilmente nel libro, uscito a metà gennaio, di Paolo Morando ' La strage di Bologna. Bellini, i Nar, i mandanti, un perdono tradito'. Un’intera sezione è infatti dedicata al “caso Di Vittorio” ed è assai generosa nel riconoscimento dei crediti a chi in perfetta solitudine aveva condotto la campagna per difendere la memoria e l’onore di Mauro, indegnamente sospettato e accusato da un deputato di estrema destra di essere il corriere dell’esplosivo che provocò la strage. Un “bravo giornalista” da decenni al margine della professione e due ex brigatisti, nel silenzio totale della stampa democratica mainstream, che si erge, strumentalmente, a vestale della purezza antifascista. Evidentemente l’enormità del gesto dei coniugi Di Vittorio- Calidori era ritenuta degna della condanna all’oblio…
DUE INCHIESTE MILITANTI
Ho sempre respinto quell’insulso enunciato di “un compagno non può averlo fatto“. E così, quando mi segnalarono la prima uscita di Enzo Raisi, in cui mancava il nome ma era chiaro ( e sbagliato) l’identikit del “militante dell’autonomia romana”, prima di impegnarmi nella campagna difensiva, ho fatto una mia mini inchiesta. Ho contattato sette compagni, sette quadri intermedi o dirigenti autonomi, espressione di diversi contesti organizzativi e territoriali romani, con cui ero stato in contatto ai tempi della mia militanza nell’autonomia. Nessuno conosceva Mauro. Verifica rafforzata da un più poderoso lavoro a Tor Pignattara svolto da Paolo Persichetti e Sandro Padula. Solo allora, continuando a garantire la più ampia libertà di espressione a tutti i soggetti interessati alla discussione, che ovviamente si intrecciava con la pista palestinese, ho dichiarato la mia posizione partigiana circoscritta a un unico punto: Mauro Di Vittorio non poteva essere il corriere dell’esplosivo.
UN’AMICIZIA STRAORDINARIA
È nata così, nel fuoco di un’aspra battaglia di verità, e si è cementata una straordinaria amicizia con Anna e Gian Carlo, che hanno eletto i miei blog a rampa di lancio dei loro messaggi nella bottiglia. Decisi comunque a mantenere, anche nello strazio di dover difendere Mauro da un’accusa folle e allucinante in disperante solitudine, il valore esemplare della loro battaglia generale di civiltà giuridica e culturale, per lo Stato di diritto, per la riconciliazione.
UN ERRORE DI OMISSIONE
C’è una cosa che mi ha colpito del libro perché coglie un mio errore di omissione. Ho letto la prima lettera di Anna e Gian Carlo soltanto nel libro. All’epoca, per quel che mi riguardava, era del tutto insignificante che fossero stati gli uni a chiederlo o gli altri a offrirlo. Il fatto era che il perdono era stato dato e che come tutta risposta qualche anno dopo Anna e Gian Carlo erano stati ripagati con la campagna diffamatoria contro Mauro.
In un Paese avvelenato della cultura cospirativa, non mi era sembrato strano che qualcuno coltivasse il dubbio che un gesto talmente sovraumano potesse aver generato il sospetto di nascondere un senso di colpa. Ad ogni modo resta un fatto: la lettera non fa riferimento al perdono ma ricostruisce la loro esperienza umana per liberarsi della condizione vittimaria, parlando appunto di riconciliazione.
UN PERDONO CONTROPRODUCENTE?
È un perdono, come dire, a 360° che, aggirando la dichiarazione di innocenza dei due condannati per la strage, ricorda con grande garbo le loro responsabilità riconosciute (hanno confessato la partecipazione a una dozzina di omicidi). Ad ogni modo, il perdono favorirà la concessione della libertà condizionale a Mambro. Circostanza contestata da Fioravanti. L’episodio è così ricostruito da Morando. “Era il 18 settembre 2014, quando Tassinari ricevette una lettera di Valerio Fioravanti. La pubblicò su “L’alter- Ugo” con un titolo che più sobrio non sarebbe potuto essere: Strage di Bologna. Valerio Fioravanti racconta il suo rapporto con Anna Di Vittorio. È lunghissima, quindi non se ne riporterà qui la seconda parte, se non per dire che si tratta di una convinta difesa del comportamento di Raisi in ogni suo svolgersi. La prima, invece, è quella che ha suggerito il titolo a Tassinari. E va letta integralmente”.
LA MIA REPLICA STRINGATA
In realtà - sulla carta stampata lo spazio è importante - bastano le tre righe essenziali: Non so se hai capito, ma Francesca NON ha preso la condizionale grazie ad Anna Di Vittorio, si potrebbe anzi quasi dire il contrario, ha preso la condizionale NONOSTANTE Anna Di Vittorio, che voleva perdonarla per qualcosa che lei non aveva fatto.
LE CONCLUSIONI DI MORANDO
E anche qui restituiamo la parola a Paolo Morando, che ricostruisce nel dettaglio i tempi e i modi degli incontri e della lettera che precedono la discussione della libertà condizionale di Mambro, per poi concludere: “Anche il secondo tradimento si era dunque compiuto: dopo l’esplicito sostegno alle ipotesi di Raisi su un presunto ruolo di attentatore di Mauro Di Vittorio nella strage alla stazione di Bologna (ricordate la lettera di Fioravanti al Giornale?), era arrivato anche il momento di gettare definitivamente a mare il perdono di Anna e Gian Carlo che era servito per riportare la moglie in libertà, definendolo inutile, anzi, quasi d’ostacolo alla condizionale. Ma era troppo anche per lo spirito libertario e garantista di Tassinari, che ai 13.564 caratteri dell’intervento di Fioravanti aveva risposto con una stringata chiosa. Chiosa che vi risparmio, sulla base del principio tipografico già enunciato”.
UN LIBRO BENEDETTO
A lungo abbiamo ragionato con Anna e Gian Carlo sulla necessità di raccontare in maniera organica questa storia ignobile ma ci mancava decisamente il distacco emotivo necessario. Il fatto che il libro di Morando sia uscito appena in tempo perché Gian Carlo sapesse che della loro straordinaria e terribile vicenda sarebbe restata una traccia “terza” è per me la prova che ogni tanto i pianeti si allineano e danno vita a un ordine retto del mondo. Gian Carlo, molto più laico di me, parlerebbe invece di “superiore intelligenza delle cose”. E questo è.