«Se si arriva a considerare il valore della vita umana pari a quello di uno, due, tre pneumatici vuol dire che abbiamo superato il limite che impedisce di cadere nell’abisso». Sono passate meno di 24 ore dalla morte di un ladro nell’azienda di Fredy Pacini, nell’aretino, quando Claudio Bises, agente di commercio di tessuti da generazioni, scrive questo post su Twitter. Pochi caratteri che gli valgono una marea di insulti online, come sempre in questi casi. Con l’augurio, tra gli altri, di poter subire un furto o una rapina, per capire cosa si prova. Ma Bises, 68 anni, un cognome finito nella triste storia delle persecuzioni razziali, quest’esperienza l’ha già provata. E la racconta al Dubbio, assieme alle cose capitate alla sua famiglia. Perché la storia, forse, si ripete, ma come diceva Karl Marx, «la prima volta come tragedia, la seconda come farsa».

Perché ha scritto quel Tweet?

Sono fortemente contrario alle armi e a come si stanno evolvendo le cose in Italia. Ma sono democratico e se la maggior parte delle persone ha voluto una deriva di questo tipo allora mi tocca accettare e farmi coinvolgere. È un follia lasciare che la gente possa acquistare un’arma per legittima difesa, senza contare che bisogna anche saperla usare. Altrimenti, poi, accadono anche disgrazie irreparabili. Quando ammazzi una persona indietro non si torna. Liberalizzare le armi è un grosso segno di inciviltà, ma fa parte della follia di questo paese.

Come si sentirebbe nei panni di Pacini?Non mi metterei mai nei suoi panni. Sicuramente ha sulla coscienza ciò che è successo e con quanto accaduto ci hanno rimesso due persone, una in modo irrecuperabile, una costretta a fare i conti con se stesso per sempre. Qualunque cosa tu abbia messo da parte in anni di lavoro non vale la vita di una persona. Certo, non voglio entrare nel merito, ci saranno delle indagini, ma ho dei dubbi se dice di esser stato derubato 38 volte e di aver denunciato solo quattro. Poi bisogna anche capire come si spara: si punta in aria, per terra, non ad altezza d’uomo. È giusto difendersi, ma mai con le armi e mai sparando addosso. Anche chi è titolato a difenderci, le forze dell’ordine, non lo fanno.

Qualcuno ha risposto al suo Tweet?

Ho ricevuto messaggi offensivi da chi si augurava che accadesse anche a me. Ma a me è capitato e se capitasse di nuovo non reagirei. Mi hanno dato del buonista, ma non è questione di buonismo, è questione di buon senso. Alla violenza non si risponde con violenza mai, ma con ragionamento e cultura. L’Italia, però, ha perso la memoria di ciò che era e un Paese che perde la memoria del proprio passato non sa che cosa sia il presente e non avrà un futuro.

Può raccontarci le sue esperienze?

Il primo furto è stato quando avevo 25 anni. Stavo uscendo dal negozio di famiglia in via del Gesù, dove lavoravo a Roma, con la ventiquattrore in mano. Hanno tentato di strapparmela di mano da un motorino. Ma all’epoca ero giovane, avevo più di forza, rabbia e incoscienza. Ho tirato, il ladro è finito per terra e due schiaffi glieli ho pure dati. Poi ho chiamato la polizia ed è finito lì. Un’altra volta ero a Milano, avevo appena lasciato una persona in albergo e una volta rientrato in macchina una persona ben vestita, a modo, mi ha detto che avevo una gomma a terra. Ma appena uscito dall’auto mi sono trovato un coltellino in pancia. Gli ho dato la giacca e i documenti, poi ho chiamato mia moglie per bloccare le carte di credito e ho fatto 50 chilometri in macchina senza patente, che hanno ritrovato il giorno dopo in un cassonetto dell’immondizia a Milano. La terza volta è stato a Roma: controllavo dei tessuti in sala da pranzo con mia moglie per un cliente, quando ho sentito un rumore: i ladri erano saliti con una corda e un arpione al terzo piano, dove c’è il nostro appartamento, avevano svitato le lampadine del balcone e messo un rametto di thuja tra due serrande per vedere se c’era la luce accesa. Poi hanno tirato su la saracinesca, rotto un vetro e sono entrati. Quando ho sentito il rumore sono corso e li ho visti in corridoio. Loro sono scappati, ho provato a colpirli con un vaso, ma non ce l’ho fatta. Ho fatto la denuncia ed è finita qua. L’ultima volta è stata nella mia abitazione provvisoria sul lago di Como, dove ho vissuto per 25 anni. Era il periodo di Natale, non eravamo in casa. I ladri si sono arrampicati sulla grondaia, hanno divelto le saracinesche di metallo con un piede di porco, hanno rotto il vetro e sono entrati in casa, buttando i quadri per terra e svuotando cassetti. Si sono portati via pezzi d’oro e biancheria.

E non ha cambiato idea sulle armi dopo queste esperienze?

Assolutamente. Anzi, io ho fatto le carte false quando ho fatto il servizio militare per non spa- rare al poligono. Tutte le scuse erano buone. Non che sia un’anima candida, quando ero al liceo ho fatto anche qualche manifestazione. Non ho mai tirato una bottiglia molotov o un sampietrino in faccia ad un poliziotto, ma se c’era da levar le mani lo facevo. Solo con quello che mi ha dato il padreterno, con un fucile mai.

Quali potrebbero essere le conseguenze nel caso in cui la legge sulla legittima difesa venisse approvata, secondo lei?

Che dei debosciati decidano di armarsi per difendersi da soli, visto che c’è questo mantra che lo Stato non ti difende. Ma la cosa pericolosa è che si tratta di una legge che va a difendere qualcuno che uccide un’altra persona. Poi cerchiamo di ragionare sul fatto che lo Stato debba pagare le spese legali: se io vado a rubare, tendenzialmente, sono un poveraccio, un mezzo morto di fame. Poi c’è furto e furto, è chiaro, ma se ho una villa da tre milioni di euro o in un appartamento con tanto di allarme i soldi, teoricamente, ce li ho. Mi sembra una follia, poi non so se è un gesto dimostrativo che fa parte della politica di questo ministro dell’Interno che vuole essere ministro di tutto. Sono veramente preoccupato, anche perché dall’altra parte non c’è un’opposizione. Si grida, ma gridando non si fa niente. Ci vogliono dei discorsi costruttivi.

Come vede il paese?

Si sta imbarbarendo e chi ne ha il dovere non ricorda alle persone come vivere. Tutto viene lasciato al caos, che poi porta situazioni alle quali non si può porre riparo. L’italia è diventata un paese razzista, xenofobo, che non si ricorda cosa è stato 150 anni fa. Ha la memoria corta, anche con chi fino a tre anni fa parlava di Roma o del sud in un certo modo. Certo tutti possono cambiare e maturare, ma mi fa paura un ministro che va a cena con quelli di Casapound, che sono quelli che picchiano i giornalisti e hanno una casa occupata da 15 anni e che tutti i sindaci non sono mai andati a sgomberare.

Cosa ne pensa dell’atteggiamento che si ha nei confronti dei migranti?

Non capisco perché ci si debba comportare così con gente che vuole solo vivere. Nella mia famiglia ci sono persone che sono finite nei forni, emigrati, gente che ha cominciato da zero e si è fatta una posizione economica. Quello che non sopporto è la mancanza di tolleranza. Non si può fermare la fame della gente. Se io ho fame e non ho soldi e non posso più chiedere l’elemosina, che pure era un valore di tutte le religione monoteiste, allora vado a rubare. E se vedo qualcuno che lo fa che faccio, gli sparo? Bene, allora cominciamo il Far West. Stiamo vivendo in un’epoca di democrazia limitata e questo non soltanto per l’Italia: anche l’Austria, l’Ungheria. L’immigrato è diventato il male assoluto, ma se si va a vedere chi fa certi lavori, anche nelle zone dominate dalla Lega, sono loro. Perché certi lavori un maschietto o una femminuccia italiani non vogliono proprio farli. E queste persone contribuiranno a pagare le nostre pensioni, checché se ne dica. Chi lavora qui per anni e poi va via lascia tutto quello che gli è stato versato e dove va a finire? Nelle nostre pensioni.

La senatrice Liliana Segre ha detto che vede gli stessi segnali d’odio che c’erano all’epoca in cui gli ebrei vennero perseguitati. Secondo lei si rischia di tornare indietro così tanto nella storia dell’umanità?

Non voglio pensare e non credo che si possa arrivare di nuovo a quello e usare termini di quel genere. Viviamo una democrazia malata, questo mi sento però di dirlo. Oggi non c’è più una classe operaia che potrebbe scendere in piazza per difendere la democrazia e questo è pericoloso. Mi preoccupa questo odio per il diverso, che è molto forte ed è trasversale, purtroppo lo sto notando anche in persone con una certa educazione e cultura. Più che odiare, si prova fastidio nei confronti di qualcuno che viene a mettere i piedi nel nostro orticello. Ma la terra non è mia, quello che abbiamo ce l’abbiamo in prestito e per caso. È un caso che io sia nato in un paese fortunato, perché mio nonno è scappato dalla guerra, mio padre è scappato dalle persecuzioni razziali ed è andato a finire in Argentina e lì sono nato io. Fossi nato nel Sud Africa dell’apartheid e fossi stato un po’ abbronzato, come dice Salvini, avrei avuto dei problemi.

Cosa ha fatto la sua famiglia dopo le leggi razziali?

Mio nonno paterno, mia nonna paterna e mio nonno materno andarono via. Il primo fu mio nonno materno, all’indomani della prima guerra mondiale. Era ungherese ed andò in Argentina già dopo l’attentato di Sarajevo, seguendo l’onda di tanti ungheresi. I miei nonni paterni e tutta la famiglia di mio nonno paterno, invece, andarono via dall’Italia all’indomani delle leggi razziali. Tutti tranne un fratello, Carlo, e le due sorelle. Mio nonno e un suo fratello andarono in Argentina, uno in Canada. Furono costretti a lasciare tutto: mio nonno dovette chiudere il suo studio di avviatissimo avvocato a Roma. Per farle capire quant’era importante le dico che con lui lavorava Antigono Donati, che poi divenne presidente della Banca nazionale del lavoro. Zio Carlo, in Italia, si nascose con la famiglia in un convento di suore e per ringraziare di averla scampata si convertì. Fu così che lo lasciarono in pace e lui poté aiutare i fratelli, che aprirono delle succursali del negozio di tessuti che avevano a Roma. Così mio nonno, che non aveva mai fatto nulla di tutto ciò, da zero prese a fare il venditore di tessuti.

Suo padre quanti anni aveva?

Tredici, la stessa età che avevo io quando dall’Argentina la mia famiglia è tornata in Italia. Partirono nel 1939, ma mio nonno aveva lasciato i genitori in Italia, così tornò per cercare di aiutarli, visto che pur avendo i soldi non potevi fare nulla essendo ebreo. Organizzò questo viaggio in prima classe, ma la nave, che doveva partire da Civitavecchia, non partì mai. I genitori di mio nonno, dunque, si trasferirono al Grand’Hotel e morirono lì, prigionieri in un certo senso, perché non potevano fare nulla.

Suo nonno riuscì a tornare in Argentina?

Sì, ma era dimagrito, malatissimo. Tornò con l’Augustus, ma in terza classe, buttato per terra. Arrivò malatissimo. La stessa “fortuna” è capitata al fratello di mia nonna, un validissimo economista alla facoltà di Bari. Perse la cattedra e andò negli Usa, dove ha lavorato a lungo con il premio nobel per l’economia Modigliani. Negli anni, conobbe un industriale italiano che viveva in Messico, sposato con un’attrice italiana e che poi lo presentò a Rossano Brazzi, il famoso attore dei film dei telefoni bianchi. E poi divenne il consulente economico di parecchie persone, tra cui Conrad Hilton, il fondatore della catena. E quello fu la svolta professionale per zio Bruno. Ricordo che lo vedevamo pochissimo, perché quando arrivava a Roma era sempre preso tra Andreotti, Ciampi, Guido Carli… lui arrivava in albergo e c’era sempre questa trafila di persone.

Suo nonno riuscì a tornare in Italia?

Nonno Enrico è morto in Argentina, nel 1960. Il fratello più giovane, purtroppo, si tolse la vita, sempre in Argentina. Per i pochi fortunati che son tornati dai campi, non è una cosa rara. Una parente si buttò dalla finestra di casa per non essere presa durante i rastrellamenti: ha preferito il vuoto. Un altro parente è stato rastrellato e c’è una pietra d’inciampo in via Lima. In uno scritto di una mia Zia ho letto di circa 50 membri della famiglia Bises finiti ad Auschwitz...

Lei ha mai avuto problemi?

Personalmente no, a parte le battute del tipo: “certo che voi ebrei avete sempre fortuna, vi va sempre bene”. Ed io rispondevo: sei sicuro del sempre?