Le attività delle piattaforme social vanno regolamentata per evitare che siano delle “terre di nessuno” in cui tutto è consentito. Parte da questo il professor Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato nell’Università di Salerno, nel commentare i recenti fatti con al centro la diffusione di foto e video privati. Il quadro normativo esistente va ampliato per evitare alcune derive, per tutelare gli utenti della rete e per responsabilizzare chi riempie di contenuti le piattaforme. Di qui l’utilità anche di una “carta di identità digitale”.

La regolamentazione del lavoro delle piattaforme social non è, dunque, più rinviabile. «Mi porrei, prima di tutto – dice al Dubbio Salvatore Sica -, le seguenti domande. Le piattaforme sono semplici autostrade nelle quali il gestore non deve avere responsabilità? Se su queste autostrade c’è una macchia di carburante, potenzialmente pericolosa, esiste un obbligo ad intervenire? O ancora, visto che ormai l’attività di intermediazione della rete costituisce una delle principali, se non la principale attività economica nel mondo, le piattaforme dovrebbero rispondere o comunque dovrebbero incrementare i meccanismi e gli strumenti di sorveglianza della rete? La mia personale opinione è che siamo a un punto di non ritorno. Andrebbe ripreso l’antico brocardo del diritto romano, ubi commoda, ibi incommoda. Le big tech della comunicazione rappresentano un fatturato a cifre enormi rispetto al quale devono inevitabilmente assumersi le responsabilità di impresa».

In tale contesto si inserisce la questione della libertà di manifestazione del pensiero e del pericolo che la censura o il controllo dei contenuti venga esercitato dai privati. «Una soluzione – evidenzia l’accademico dell’Università di Salerno - potrebbe essere quella di prevedere strumenti a disposizione dell’interessato di segnalazione urgentissima con poteri di sospensione cautelare del contenuto da parte delle piattaforme, senza tralasciare poi la presenza di un’Autorità di controllo, che potrebbe essere o l’Agcom o il Garante per la privacy con prerogative di provvedimenti cautelari “effettivi” o per l’illiceità del contenuto o per la violazione dei dati personali. Si potrebbe infine anche pensare a un procedimento speciale, con il controllo giudiziario, per verificare la necessità che il contenuto sia temporaneamente o definitivamente rimosso dalla rete. Di sicuro non si può continuare con la deriva alla quale stiamo assistendo. Una deriva che, tra l’altro, sta generando anche nuove forme di reato».

Siamo passati dalla divulgazione di contenuti, condita da morbosità, al linguaggio d’odio. Ecco perché va tenuta alta la guardia e il ruolo del legislatore in questo momento è particolarmente importante. «Non dimentichiamoci – afferma il professor Sica – che si sta sviluppando una vera e propria nuova categoria di reati, che sono sostanzialmente l’evoluzione in senso digitale del classico reato di estorsione con un ragionamento tanto semplice, quanto spietato: cancello certi contenuti, se mi paghi. C’è un disegno di legge con primo firmatario l’onorevole Piero De Luca, che da un lato riafferma, in coerenza con la disciplina europea, in particolar modo con la Direttiva 2000/ 31 sul commercio elettronico, la responsabilità delle piattaforme. Viene tuttavia effettuata una sottolineatura maggiore rispetto all’attuale impostazione, che viceversa prevede sostanzialmente l’irresponsabilità delle piattaforme, “salvo che” non abbiano concorso con la propria condotta alla causazione dell’illecito o abbiano omesso un intervento tempestivo.

Il profilo di interesse di questa proposta, a mio avviso, risiede anche nel fatto che si prevede l’obbligo di riscontri immediati con la predisposizione, in qualche maniera, di un front office digitale, che dia seguito alle segnalazioni degli utenti circa contenuti illeciti che li riguardano. Il terzo elemento è l’istituzione di un “Osservatorio nazionale per l’uso della rete”, perché occorre in qualche maniera definitivamente alle spalle, a meno che non vogliamo rassegnarci all’idea di piattaforme social come contenitori dell’immondizia globale».

I più critici ritengono che l’eccessiva regolamentazione, con una stretta sull’utilizzo dei social, rievoca quello che succede nei regimi autoritari. Si tratta, però, una preoccupazione infondata. «La libertà di manifestazione del pensiero – conclude Salvatore Sica -, “senza se e senza ma”, l’abbiamo già vissuta e abbiamo visto a quale risultato ha portato. Ma anche nella più coerente interpretazione dell’articolo 21 della Costituzione, se dobbiamo riferirci soltanto al contesto italiano o alla “Freedom of speech” di matrice statunitense, non c’è una libertà che non conosca dei limiti. I limiti sono quelli del rispetto degli altrui diritti della personalità e oggi mi sembra che si sia già oltre. Quindi, non c’è più una questione di equilibrio tra diritti di pari rango costituzionale, ma c’è piuttosto un tema di riequilibrio a favore della tutela della persona umana».