«Qualcosa è cambiato. C’è una dinamica diversa, nel funzionamento del Csm, rispetto a quanto immaginato dai costituenti. E a questo punto andrebbe riconsiderata la composizione del Consiglio stesso. Anche perché la scelta di prevedere una maggioranza di togati fu il frutto di una deliberazione dell’Assemblea costituente passata per un soffio». Il costituzionalista Giovanni Guzzetta ha l’abitudine di infrangere tabù. È stato tra i pochi a sollecitare, anche per via referendaria, una legge elettorale meno friabile di quelle in vigore ormai dal 2005. Adesso non si risparmia dal mettere in discussione un vero e proprio totem della Repubblica, ossia la composizione asimmetrica del plenum di Palazzo dei Marescialli. D’altronde, a sostegno della sua idea cita altre «modifiche di enorme rilievo, come l’addio all’autorizzazione a procedere per i parlamentari, a cui non ha mai fatto da contrappeso alcun intervento sull’organo di governo autonomo dei magistrati». Tanto che adesso ritiene sarebbe utile anche discutere di «una maggiore tutela di tutte le parti del processo anche al di fuori dello stretto perimetro delle aule giudiziarie e anche, naturalmente, per gli avvocati». Ci ragiona proprio mentre il Congresso forense che si terrà a Catania dal 4 al 6 ottobre prossimi si appresta ad approfondire la proposta di rafforzare il ruolo dell’avvocato in Costituzione, messa a punto dal Cnf.

Professor Guzzetta, lei è tra i maggiori studiosi dei lavori della Costituente: pensa davvero che non si tradirebbe lo spirito dell’Assemblea se si modificasse la composizione nel Csm?

Premessa: non mi permetto di mettere in discussione l’autorevolezza e l’esperienza istituzionale del vicepresidente appena scelto dal Consiglio superiore, David Ermini. D’altronde non è questo il punto. Casomai, si deve prendere atto che ora l’asimmetria fra laici e togati è più difficile da reggere. E in ogni caso, per rispondere alla domanda, quell’asimmetria non è figlia di alcun dogma dei costituenti.

L’autonomia e l’indipendenza dei magistrati non fu una priorità nei lavori dell’Assemblea?

Fu una delle due esigenze prese in considerazione al momento di disegnare l’organo di governo dei magistrati: da una parte l’autonomia, dall’altra la necessità di evitare che la magistratura si corporativizzasse, per usare un brutto ma efficace termine.

Tanto è vero che la scelta iniziale della commissione dei 75 era per un Consiglio superiore composto per metà da laici e per l’altra metà da togati. Erano orientate in questa direzione figure del calibro di Dossetti, Bettiol, Leone, Perassi.

Poi cosa successe?

Ci fu un emendamento presentato da Scalfaro, che propose lo schema con due terzi di togati. Che prevalse di pochissimo: su quel voto si dovette contare con prova, controprova e divisione.

Non c’erano sistemi elettronici.

No. In ogni caso si verificò quanto avvenne su diverse questioni relative alla giustizia: si scelse con un forte grado di approssimazione, di provvisorietà, e diversi aspetti anche formali mostrano proprio come si ritenesse plausibile una successiva revisione del sistema.

Ma adesso perché si dovrebbe cambiare?

Il modello del ’ 48 ha funzionato fin quando la politica è stata tutto sommato compatta almeno nel rapporto con la magistratura.

Nella Prima Repubblica il sistema consociativo assicurava questo tipo di tenuta. Ma adesso non c’è consociazione: è dall’avvio della Seconda Repubblica che nel sistema politico c’è aspra contrapposizione, non declinabile secondo un modello di scelte condivise neppure quando la politica nel suo insieme deve rapportarsi con l’altro potere quello giudiziario, e quindi con i togati del Csm.

È per questo che è stato eletto un vicepresidente indicato, come consigliere, da forze che in Parlamento sono all’opposizione?

Dico semplicemente che nel momento in cui la politica va al Csm così divisa è chiaro che viene meno quell’equilibrio dato per scontato dai costituenti. E ripeto: l’equilibrio che l’Assemblea provò a disegnare non era considerato come un’opzione ineluttabile. Basti pensare che Togliatti immaginava che fosse il ministro di Grazia e giustizia a svolgere funzioni di vicepresidente. Altri ritenevano che dovesse toccare al procuratore generale della Cassazione e che quest’ultimo dovesse essere designato dal presidente della Repubblica su indicazione del Parlamento. Ci si mosse alla fine con un compromesso che non era scolpito nella pietra come soluzione unanimemente condivisa e consolidata.

Crede che ora sarebbe meglio un Csm con metà laici e metà togati?

Sarebbe una soluzione in grado di restituire maggior peso alla politica. Non sarebbe un atto di blasfemia, ripeto, rivedere la Carta sul punto. Anche su altri aspetti relativi alla giustizia, come detto, ci fu un margine di discussione ampio. Penso alla separazione delle carriere: l’assemblea era inizialmente orientata a dividere pm e giudici, ma all’epoca vigeva il modello processuale inquisitorio, con il magistrato inquirente che svolgeva anche funzioni giudicanti, e quindi le carriere restarono unite. Ma la VII disposizione transitoria e finale rinvia la scelta definitiva all’introduzione del modello accusatorio. Quando quest’ultimo è stato introdotto nell’articolo 111, però, non si è proceduto a separare le carriere. Quell’articolo oggi è di fatto non pienamente in linea con le attese dei costituenti. Ma c’è un aspetto ancora più significativo.

Quale?

Non esiste più l’autorizzazione a procedere. Si è eliminato uno schermo pensato non a caso dall’assemblea per tutelare la politica da eventuali attacchi della magistratura. Anche per questo credo che una modifica sul Csm sarebbe utile a restituire l’equilibrio tra i due poteri.

Ma la giurisdizione in sé non è a sua volta abbastanza minacciata dal processo mediatico, e non sarebbe perciò utile rafforzare in Costituzione anche il ruolo dell’avvocato?

È chiaro che se il dibattito sull’attività della magistratura si trasferisce quotidianamente dalle aule dei Tribunali alla piazza mediatica, o si è in grado di correggere tale fenomeno oppure vanno assicurate maggiori garanzie anche al di fuori del processo e per tutte le parti del processo, quindi anche agli avvocati.

Tanto più che i giudici sono impallinati se assumono decisioni non in linea con le attese dell’opinione pubblica e gli avvocati sono minacciati se difendono chi è accusato di determinati reati.

È appunto la conseguenza del processo trasferito sui media, e una tutela maggiore per l’avvocato è assolutamente necessaria, visto che lo stato di diritto si fonda sul diritto di difesa.