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Colpevole: a uccidere Yara Gambirasio è stato Massimo Bossetti e merita l'ergastolo. È questa la verità pronunciata alle 20 e 30, dopo dieci ore di camera di Consiglio, da Antonella Bertoja, presidente della Corte d'Assise di Bergamo. È la verità dei giudici, non cancellerà l'orrore del ricordo, soprattutto dagli occhi del papà e della mamma di Yara, di quel freddo, di quel 26 nombre del 2010, il freddo che vide spegnersi la ragazza di 13 anni nel campo di Chignolo d'Isola. Secondo il collegio composto oltre che da Bertoja, dalla giudice a latere Ilaria Sanesi e da 6 giudici popolari, il carpentiere di Mapello ha infierito con crudeltà sulla ragazzina e poi l'ha lasciata morire lì. Non hanno creduto alla sua ultima esortazione, pronunciata ieri mattina un attimo prima che la corte si ritirasse: «Vi imploro di ripetere il test del Dna. Sarei un pazzo a chiedervelo se fossi colpevole». Quel codice genetico, ha detto l'imputato, «non è mio, vi supplico di fare questa verifica». In linea del tutto teorica la Corte d'Assise avrebbe potuto sospendere la decisione e, anziché una sentenza, emettere un'ordinanza di ripetizione della prova. Ma in mattinata lo stesso difensore di Bossetti, Claudio Salvagni, interpellato dal Dubbio, aveva detto: «Non ho mai assistito a una decisione del genere». La Camera di Consiglio è stata lunga anche per la quantità dei verbali da riepilogare, e già dalla mattina la presidente Bertoja aveva previsto che non si sarebbe arrivati alla lettura della sentenza prima delle 20.Resta un senso di vuoto che forse la violenza della distruzione mediatica di Bossetti ha contibuito ad allargare. Ha provato a dare di sé un'immagine diversa, ha parlato ai giudici del bambino messicano adottato a distanza, e ha cercato di persuaderli con l'ultimo appello: «Accetterò il verdetto qualunque esso sia perché pronunciato, ne sono convinto, in assoluta buona fede. Ma ricordatevi che se mi condannerete sarà il più grave errore giudiziario di questo secolo». E poi: «Mi rendo conto che è molto difficile assolvere Bossetti, ma è molto più difficile sapere di aver condannato un innocente».L'avvocato Salvagni non esita a dire che le attese, anche istituzionali, createsi fin dall'arresto del giugno 2014 attorno alla condanna del suo assistito «hanno influito sul decorso del procedimento».La famiglia distrutta, di certo, è quella di Yarta Gambirasio: i genitori della vittima hanno rispettato anche ieri la scelta di non mettere piede nel Tribunale di Bergamo. Dice Enrico Pelillo, avvocato dei familiari di Yara: «Queste persone hanno avuto un riserbo, un decoro, un pudore forse desueti ma esemplari. Non hanno mai accennato ad atteggiamenti vendicativi. Nonostante quello che accadeva attorno».