Dopo mesi di tensione e un cupo clima da "guerra fredda" a causa dell'abbattimento in novembre di un caccia-bombardiere russo da parte di due F-16 turchi nei cieli sulla frontiera con la Siria, lo zar Putin e il sultano Erdogan si incontrano a San Pietroburgo in uno storico vertice di riconciliazione. Il tutto in nome della cosidetta realpolitik, ma soprattutto dei reciproci interessi economici. Ed è proprio l'odore dei soldi, che i due chiamano «investimenti strategici» l'elemento che più di ogni altra cosa è stato capace di far dimenticare i dissapori: «Siamo determinati nel far salire a 100 miliardi di dollari il volume dell'interscambio commerciale con la Russia», ha detto Erdogan. Più cauto, ma solo nella forma il commento di Putin: «Dopo 9 mesi di crisi diplomatica abbiamo del duro lavoro da fare per rilanciare la cooperazione economica e commerciale. Questo processo è già iniziato, ma ci vorrà un pò di tempo Le nostre relazioni devono riprendere a pieno regime, lo vogliamo e lo stiamo facendo».Ribadendo poi l'apprezzamento per il sostegno offerto dal Cremlino al suo governo in occasione del recente tentativo di colpo di Stato, Erdogan ha assicurato Putin sulle proprie intenzioni di «rafforzare la democrazia» in patria. Ma al di là dei protocolli e delle frasi di rito, nel summit di ieri sono state prese diverse decisioni concrete. Saranno infatti revocate le sanzioni imposte ad Ankara in seguito all'abbattimento del caccia russo, e come esempio della rinnovata volontà di collaborare, Putin ha citato il nucleare e le infrastrutture, oltre all'energia che ha definito un «elemento-chiave» a livello bilaterale. Inoltre è stata annunciata la ripresa dei voli commerciali tra i due Paesi «L'amicizia» tra i due Paesi, ha poi rilanciato il presidente turco, «sarà ancora più forte di quanto non fosse prima». Impegno comune anche nella lotta contro il terrorismo.Quella in Russia è la prima missione all'estero dell'uomo forte di Ankara dal fallito colpo di stato. L'incontro con il capo del Cremlino si tiene nel Palazzo di Konstantinovsky, una quindicina di chilometri a sud dell'antica capitale dell'Impero Zarista. Prima di arrivare a San Pietroburgo il presidente turco aveva incaricato il proprio governo di avvertire gli Stati Uniti di non mettere a rischio le relazioni per proteggere Fethullah Gulen, il predicatore che vive Pennsylvania, ritenuto dalla Turchia il regista del fallito golpe. «Se gli Usa non ci consegnano Gulen -aveva affermato il ministro della Giustizia Bekir Bozda - sacrificheranno le relazioni con la Turchia per il bene di un terrorista».