L'esecuzione sarebbe imminente, le autorità iraniane infatti si preparano a giustiziare una donna di etnia curda proveniente dalla provincia nord-occidentale dell'Azerbaigian. Un altra vittima della repressione delle proteste scatenate in reazione alla morte di Mahsa Amini, la ragazza anch'essa curda uccisa dalla polizia morale a Teheran dopo essere stata fermata perché non indossava in maniera corretta l’hijab, il classico velo che copre la testa.

Ma questa volta la barbarie potrebbe toccare, se possibile, il limite estremo. Shahla Abdi, questo e il suo nome, ha circa vent’anni ed e incinta. È stata arrestata a metà ottobre a Urmia durante una delle tante manifestazioni che stanno scuotendo il regime degli Ayatollah. La sua colpa sarebbe quella di aver dato fuoco ad un ritratto del fondatore della Repubblica Islamica Khomeini.

La notizia della possibile esecuzione della ragazza è stata rivelata dal sito Iran Wire e ripresa dall'emittente panaraba di proprietà saudita Al Arabiya. Mentre Iran Wire e una piattaforma on line che si occupa di diritti umani e il cui direttore ed editore e il giornalista, regista e attivista iraniano-canadese Maziar Bahari, quest ultimo ha trascorso diverso tempo imprigionato nel famigerato carcere di Evin a Teheran nel 2009.

Nonostante la pesante cortina della censura che grava sull'Iran i redattori di Iran Wire sono riusciti a raccogliere alcune testimonianze tra cui quella di una detenuta che ha raccontato il calvario che ha dovuto subire Shala Abdi. È stata rinchiusa nel carcere di Urmia per circa un mese, da qui sarebbe stata trasferita nella prigione di Tabriz circa tre settimane fa; secondo altri, è stata portata nel centro di detenzione del Ministero dell'Intelligence.

Se verificata quest'ultima circostanza, le speranze di rivedere la ragazza ancora viva sarebbero minime.

È noto ormai che le autorità iraniane hanno istituito una serie di prigioni segrete delle quali non si conosce l'ubicazione, sapere qualcosa su chi viene recluso in questi luoghi è praticamente impossibile.

Sempre secondo le parole dei detenuti la donna sembrava essere molto giovane, appariva debole e maltrattata ed era lampante che era incinta di almeno quattro mesi. Nonostante le sue condizioni Abdi è stata tenuta in isolamento a Urmia, due agenti la accompagnavano sempre per assicurarsi che non parlasse con nessuno.

Anche il suo aspetto tradiva uno stato di shock evidente, così come la mancanza di igiene corporale e per i capelli. Soprattutto nessuno è riuscito a capire perche Shahla fosse terribilmente spaventata come se qualche terribile minaccia pendesse sulla sua testa.

Da quello che si è appreso le condizioni della prigione sono difficilissime per i detenuti, molto spesso vengono negate le cure mediche più basilari nonostante diverse donne si siano ammalate durante la loro permanenza nella struttura detentiva.

Secondo quanto riportato dagli attivisti che cercano con difficoltà di monitorare la situazioni degli arrestati, più di cinquecento persone sono state uccise dalla repressione scatenata dalle autorità iraniane ai danni dei manifestanti antigovernativi e oltre diciottomila sono state arrestati, comprese alcune donne in attesa di partorire.

E il caso di Zahra Nabizadeh incinta di sei mesi che è stata arrestata il 18 gennaio nella città di Mahabad, nella provincia dell'Azerbaigian occidentale. Dalle notizie in possesso di Hengaw, un gruppo con sede in Norvegia che monitora le violazioni dei diritti nelle regioni curde dell'Iran, Nabizadeh ha subito un aborto spontaneo dopo che le forze di sicurezza l'hanno presa a calci nello stomaco durante il suo arresto.

Anche Nabizadeh, come Shahla Abdi, è stata condannata a morte ed è ora in attesa di esecuzione in prigione. Una lista che purtroppo sembra destinata ad allungarsi visto che solo nelle ultime settimane almeno altre due manifestanti incinte sono state arrestate e rimangono dietro le sbarre.

Tutto ciò accade mentre il Consiglio per i diritti umani della Nazioni Unite ha lanciato un appello per un'azione urgente diretta a fermare l'esecuzione di Abdi. Sforzi che però sembrano cadere nel vuoto visto che ormai sono diciassette le persone condannate a morte per la mobilitazione contro gli Ayatollah.

Solo il 9 gennaio, altre tre persone sono state condannate in quanto accusate di aver ucciso tre membri delle forze di sicurezza durante le proteste.

Il mese scorso, Majidreza Rahnavard, 23 anni, è stato impiccato in pubblico dopo essere stato condannato da un tribunale di Mashhad nel nord-est dell’Iran.