C’è una fetta di popolazione, vulnerabile ma nascosta, che difficilmente riuscirà ad accedere piano vaccinale. Sono italiani, apolidi e stranieri, giovani e anziani, uomini e donne che ogni giorno, non solo adesso, lottano per la sopravvivenza. Da una parte ci sono i senza dimora che oggi, oltre al pericolo Covid, stanno affrontando il gelido polare e solo a Roma ci sono stati 11 morti per freddo. Dall’altra ci sono persone che vivono negli stabili occupati e altre che sono stipate nei campi rom. Molti, soprattutto stranieri, sono senza tessere sanitarie ed è una delle tante difficoltà che li rende, di fatto, esclusi dalla campagna prevista dal piano vaccinale. La richiesta delle Associazioni aderenti al Tavolo Immigrazione Salute Per questo, e non solo, ci sono le Associazioni aderenti al Tavolo Immigrazione Salute che si rivolgono al ministro della Salute Speranza, affinché si attivi al più presto per dare indicazioni nazionali per una campagna vaccinale anti-Covid 19 realmente inclusiva dei soggetti socialmente più fragili. C’è tanta preoccupazione per le criticità che potrebbero insorgere nella realizzazione del Piano strategico vaccinale relativamente alle persone accolte in strutture collettive ed anche a coloro che sono senza documenti, agli immigrati temporaneamente senza permesso di soggiorno, ai cittadini comunitari in condizione di irregolarità amministrativa, ai richiedenti asilo che ancora non hanno potuto accedere al servizio pubblico e agli apolidi, nonché ai soggetti socialmente fragili che vivono in insediamenti informali o comunque a chi non ha il medico di base ed ha difficoltà di accesso al servizio sanitario nazionale. Le modalità di inclusione nel Piano Vaccinale Nazionale in fase 2 Proprio per questo, le associazioni Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), Caritas Italiana, Centro Astalli, Emergency, Intersos, Médecins du Monde, Medici contro la Tortura, Medici per i Diritti Umani (Medu), Medici Senza Frontiere (Msf), Sanità di Frontiera, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (Simm), chiedono precise indicazioni. Quali? Prima di tutto l’indicazione delle modalità di inclusione nel Piano Vaccinale Nazionale in fase 2 tra i soggetti socialmente fragili, delle persone che vivono in insediamenti informali, dei senza fissa dimora compresa la popolazione migrante, dei richiedenti asilo, rifugiati e apolidi a prescindere dal proprio status giuridico e delle persone accolte in strutture collettive emergenziali o particolarmente affollate. Dopodiché si chiede che si stabiliscano e agevolino la procedura che consenta la vaccinazione a chi si trova sul territorio nazionale pur non avendo documenti quale tessera sanitaria, documento di identità o codice fiscale prevedendo una "flessibilità" amministrativa, così come indicata dall'Aifa, eventualmente anche mediata da enti locali e/o da organizzazioni dell’associazionismo e del terzo settore.Le indicazioni, inoltre, dovrebbero prendere in considerazione il ruolo fondamentale dell’associazionismo, in collaborazione con le Aziende sanitarie locali, nella mappatura degli insediamenti formali e informali, al fine di identificare le persone affette da particolari fragilità socio sanitarie da sottoporre subito a vaccinazione anche prevedendo, in alcuni casi, un'offerta vaccinale attiva in specifici luoghi di aggregazione (“medicina di prossimità”), tenendo conto della necessità di garantire il richiamo vaccinale in una popolazione difficile da rintracciare. Per far ciò le indicazioni del piano vaccinale devono anche sollecitare in particolare nell’ambito dell’offerta attiva, una maggiore capacità di iniziativa delle Regioni/Province Autonome nel promuovere un’interlocuzione e una collaborazione tra le singole Aziende Sanitarie e le organizzazioni del terzo settore che operano nei contesti sopracitati, per concordare tempi e modalità di somministrazione del vaccino. C'è da superare la barriera linguistica e culturale C’è anche il problema della barriera linguistica e culturale, per questo le indicazioni devono prevedere il diretto coinvolgimento delle comunità di immigrati e di mediatori culturali per scongiurare la diffusione di informazioni non corrette e per favorire la trasmissione di messaggi chiave per la prevenzione nelle lingue comprese dai migranti ed in modo culturalmente appropriato: un recente rapporto della Nazioni Unite ha evidenziato che il 25% degli immigrati intervistati, pur avendo sintomi suggestivi o comunque un sospetto di infezione virale, non aveva cercato assistenza sanitaria per paura di provvedimenti di espulsione. Sono indicazioni necessarie e le associazioni, che già l’anno scorso avevano avviato una interlocuzione con il ministero della Salute, chiedono fin da subito di proseguire il confronto ed il coinvolgimento attivo del Tavolo Immigrazione e Salute e del Tavolo Asilo in ambito inter-istituzionale per discutere e prevedere risposte adeguate alle questioni poste. Anche, perché sin dall’inizio, le associazioni hanno denunciato una "solitudine" organizzativa delle varie strutture d'accoglienza, che hanno dovuto spesso definire in proprio percorsi e procedure per un'accoglienza e gestione in sicurezza.