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Chissà se oggi Recep Tayyip Erdogan ripeterebbe il fortunato “mantra” che scandì la sua campagna elettorale del 1994: «Chi conquista Istanbul si prende la Turchia». La città del Bosforo la conquistò e poco dopo la Turchia se la prese umiliando le opposizioni. Accadrà lo stesso, a parti invertite, 25 anni dopo?
Intanto Ekrem Imamoglu ha battuto per la seconda volta in meno di tre mesi il candidato del Sultano, Binali Yldirim, ex- premier ed esponente di primo piano del partito islamista Akp. La tornata elettorale precedente era stata annullata dal Consiglio di Stato, fedele ad Erdogan, per presunte irregolarità.
Certo della vittoria, l’uomo non più tanto forte di Ankara, aveva ottenuto che si rivotasse. E lo smacco è arrivato inatteso nelle proporzioni, per quanto previsto. Imamoglu ha ottenuto il 54% contro il 45% raccolto da Yldirim, un distacco di ottocentomila voti, mentre il 31 marzo scorso era stato eletto con il 48,5% , distanziando l’avversario soltanto dello 0,28%, meno di tredicimila suffragi.
Istanbul, oltre ad essere la capitale simbolica della Turchia, è stata la roccaforte dell’Akp da dove Erdogan ha intrapreso la sua ascesa. Non può, dunque, non sentirsi “tradito” in previsione delle presidenziali che si terranno fra tre anni, mentre il processo di islamizzazione del Paese sembra essersi momentaneamente affievolito.
Il suo stesso partito non gode buona salute, come attestano le significative battute d’arresto in molti centri considerati impermeabili all’avanzata delle opposizioni le quali hanno una sola chance per sconfiggerlo: rinunciare ai particolarismi e formare una grande coalizione che punti alla vittoria fermando i progetti neo- ottomani del Sultano, come ha platealmente dimostrato “restituendo” al culto musulmano Santa Sofia, simbolo della laicità turca, sottratta da Kemal Mustafà Ataturk a tutte le confessioni e perciò elevata a “monumento” della composita identità della nazione.
La perdita di Istanbul denota il progressivo esaurimento del lungo potere pressoché assoluto di Erdogan che negli ultimi anni ha dovuto con la forza e con la falsificazione di golpe mai avvenuti, o forse fintamente organizzati dal suo stesso apparato poliziesco e politico, respingere le contestazioni “plurali” di chi avversa l’autocrazia islamista in nome di una riconquista della laicità.
Non si è spento negli ultimi anni lo spirito che animò nel maggio 2013 le contestazioni sfociate nei disordini di piazza Taksim a Istanbul, originati dalla difesa di Gezi Park destinato ad una selvaggia lottizzazione per la costruzione di un centro commerciale. La protesta ambientalista si trasformò in un vero e proprio atto d’accusa contro le politiche islamiste e repressive in atto. Le cariche della polizia furono sproporzionate e provocarono cinque morti, ottomila feriti, duemila arrestati in soli tre giorni. Il mondo scoprì il vero volto di Erdogan.
Poi le vicende connesse alla repressione dei curdi, ripresa in grande stile nel caos siriano in cui la Turchia si è malamente infilata, la diffidenza verso la minoranza yazida, perseguitata dai musulmani iracheni e sopraffatta dall’Isis che ne ha schiavizzato sessualmente le donne, accolta ( si fa per dire) da Ankara che ha confinato più di 11mila, yazidi in campi profughi che assomigliano a campi di concentramento, hanno fatto perdere credibilità al Sultano anche sul piano internazionale.
La comunità yazida non è stata certamente difesa, come ci si attendeva proprio perché non islamica e dunque priva di interesse “umanitario”, tanto che lo scorso gennaio quando l’esercito turco ha attaccato la regione di Afrin, tra la Siria e l’Iraq, si è temuto che usasse le maniere forti anche contro questa comunità antica e nobile, non omologata alle culture dominanti in quel tragico scacchiere.
Leader yazida, suo malgrado, Nadia Murad, è il simbolo di una tragedia trascurata. Ex prigioniera dell’Isis, rapita nell'agosto del 2014, i terroristi del Califfato l'hanno stuprata in gruppo, poi venduta più volte come schiava. Candidata al premio Nobel per la pace, ha vinto con Lamiya Aji Bashar il premio Sakharov 2016 ed è stata inserita da Time tra le 100 persone più influenti del 2016. Murad ha scritto un libro, L’ultima ragazza ( 2017). È il drammatico racconto del suo calvario come schiava sessuale dei miliziani dell’Isis.
Ci si aspettava in Occidente che la Turchia di Erdogan prendesse a cuore la causa yazida, ma le sue ragioni di leader musulmano, anzi ottomano, hanno prevalso perfino sulle promesse fatte all’Europa, in cambio di cospicue somme di denaro.
A Istanbul tutto questo, unitamente alle sopraffazioni quotidiane che si registrano, alle reiterate chiusure dei giornali, alla soppressione del dissenso, non è passato in secondo piano. Ed il minimo che Erdogan poteva attendersi dalla “sua” città altro non era che la sconfessione. Molti si domandano: «Chi perde Istanbul, perde anche la Turchia?». È probabile. Quasi certo.