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Conte M5S
Carlo Calenda si gode il buon risultato delle Amministrative e chiede a Enrico Letta, che ha fatto del Pd il primo partito in quasi tutti i Comuni al voto, di aprire un confronto col “terzo polo” liberal formato da Azione e + Europa. A patto però dal tavolo venga buttato fuori Giuseppe Conte, tra i grandi sconfitti di questa tornata, che il Nazareno si ostina a considerare interlocutore privilegiato. Ma se restano i grillini se ne va pure Matteo Renzi, che in realtà è già andato col centrodestra in molte città pur senza presentare il simbolo per scongiurare il rischio di pesare il consenso specifico di Italia viva. Gli unici a non mettere veti sono quelli di Leu, che al momento devono ancora capire in quanti rivoli si perderanno da qui al voto. Insomma, più che un campo largo, quello immaginato da Letta si sta trasformando in un campo minato.
Il segretario dem è convinto che solo con l'unità di tutto il centrosinistra si possa competere con la corazzata del centrodestra alle prossime Politiche. Nessuno escluso. E per questo il leader del Pd si cimenta in un Tetris complicatissimo dove sembra impossibile girare i pezzi per incastrarli nel modo giusto. Ma Letta sembra fiducioso, consapevole che a dare le carte sarà comunque il suo partito, l'unico in grado di superare il 20 per cento.
«II tema non è escludere o mettere , spiega al Corriere della sera il numero uno del Nazareno. «Questa destra la battiamo solo con le alleanze. Lo dico soprattutto a Carlo Calenda che è stato eletto con il Pd più volte. C’è una destra competitiva e forte, vinciamo solo se uniti. E per avere successo serve un’alleanza guidata da un grande partito», aggiunge. Ma Calenda, dal canto suo, di intesa con i grillini non vuole proprio sentir parlare e, a poche ore dalla chiusura delle urne, ribadisce senza mezzi termini il concetto, lanciando un aut aut a Letta, intenzionato a proseguire il percorso col Movimento 5 Stelle: «Questa strada preclude ogni tipo di alleanza», scandisce il leader di Azione, già proiettato alle Politiche del 2023, quando «ci saranno tre poli: il polo con Pd- 5Stelle, quello che costruiranno Azione, + Europa e le liste civiche - diciamo l’area Draghi anche se non mi piace il termine e dall’altro lato ci sarà la destra sovranista che in Europa è completamente esclusa da qualunque rapporto con la Commissione europea perché sono all’opposizione», spiega Calenda.
Azione, dunque, non farà parte del centrosinistra, almeno a seguire alla lettera le parole del suo leader galvanizzato da quel 10 per cento di consensi riscossi nelle maggiori città chiamate al voto. Eppure l'ex ministro dello Sviluppo economico non sbatte definitivamente la porta in faccia al Pd ma è convinto di poter dettare le condizioni al leader dem, a partire dalle Regionali lombarde del prossimo anno. Calenda ha già un nome per sfilare la poltrona ad Attilio Fontana e lo mette subito sul piatto di Letta: Carlo Cottarelli. «È perfetto per tenere insieme un campo riformista e progressista», dice. «Se Letta vuole fare veramente un lavoro di alleanza lo facciamo in Lombardia, tanto qui il M5S non c’è più. Quindi il problema non si pone. Se poi devono avere i 5 stelle per forza, si comprino un cane e lo chiamino 5 stelle», aggiunge con sprezzo il capo di Azione, che non sembra disponibile ad accettare altri nomi in Lombardia. Perché «se però si mettono a dire “no, non decidiamo, c’è Majorino o c’è mia zia...”, allora il candidato se lo fanno da solo». Insomma Calenda è convinto di poter mettere alle strette il Pd, che al momento non sembra affatto intenzionato a cedere ai diktat del nuovo capopopolo.
E mentre Conte si lecca le ferite, provando ad annunciare per l’ennesima volta l’avvio di una fase 2 che non vede la luce, ci pensa Matteo Renzi a dare il colpo di grazia, chiedendo a Letta di abbandonare i grillini al loro destino. Perché tanto, è il ragionamento renziano, il M5S non è in grado di portare voti. E in attesa di conoscere il reale peso elettorale di Italia viva, al segretario del Pd non resta che ascoltare tutti senza far innervosire nessuno, nella speranza che il silenzio sia sufficiente a scongiurare strappi. Per ora il campo largo non esiste. Ma esiste il rischio, parafrasando Renzi, che si trasformi presto in un «campo santo».