Trasformare le Sardine in partito? Finirebbe probabilmente per dividere ulteriormente l’elettorato della sinistra. Parola di Giovanni Orsina, politologo e storico, professore ordinario di storia contemporanea e direttore della School of Government alla Luiss di Roma, secondo cui la forza del movimento può essere quella di rappresentare «una spinta per la sinistra chiusa nel palazzo».

Le Sardine diventeranno un partito politico o ha ragione Mattia Sartori a respingere questa idea?

Capisco la sua posizione, perché l’idea è quella di rilanciare un certo modo di far politica che vuole essere alternativo al salvinismo. E fin quando sarà così avremo a che fare con la manifestazione di un modo diffuso della società civile di vedere la politica. Matteo Salvini è molto polarizzante: chi è con lui lo è con grande convinzione, chi è contro di lui lo è con altrettanta convinzione. In questo senso il movimento può essere una sorta di spinta rispetto ai partiti di sinistra. Ma se si trasforma in un partito esso stesso perde quell’elemento unificante, perché a quel punto bisogna dire delle cose in positivo, fare delle scelte concrete, e ciò crea divisione. Il rischio sarebbe quello di fare l’ennesimo partitino in mezzo ad altri partitini, andando a prendere i voti sempre della sinistra. La politica, di questi tempi, è tutta “contro”: il M5S era contro l’establishment e il Pd, la Lega contro l’Europa e gli europeisti, le Sardine sono contro i sovranisti. Nel momento in cui si comincia ad essere a favore di qualcosa, però, i voti calano immediatamente, perché è difficile dire cose che vadano bene a tutti. Raccogliere quel 30% di persone che detesta Salvini è facile, quando si parla di cose concrete le cose cambiano. Lo stesso vale per Salvini: è facile dire “ce l’ho con l’Europa”, ma che cosa vuol dire?

Una persona su quattro si dichiara interessata a questo movimento. Significa che potrà orientare l’elettorato in qualche modo?

Per il momento non si traduce in voto. Quello che può fare, ora, è rappresentare un momento di mobilitazione a sostegno dei partiti esistenti. Ma non è semplice, perché in qualche modo questa mobilitazione è resa necessaria proprio dal fallimento di quei partiti. Scendendo in politica quel quarto di elettorato non si tradurrebbe automaticamente in voti, perché sarebbe concorrenziale al Pd e ciò significa che parte di quelle simpatie si perderebbero. Sono operazioni molto complicate: il M5S ci era riuscito molto bene, ma erano anche condizioni storiche molto particolari.

Che tipo di piazza c’è dietro le Sardine? Solo elettori del Pd?

Si tratta di un popolo variegato. È evidente che Salvini, Meloni e il sovranismo sono molto forti e seguono il vento dell’opinione pubblica, quello che i partiti di sinistra faticano ad affrontare. Questo vento era destinato a generare, però, un vento contrario e tutto si sviluppa in piazza per via della debolezza delle reazioni politiche. Il Pd non riesce a rispondere a Salvini e Meloni in termini di piazza, quindi quella delle Sardine ha senso proprio perché è più vasta del Pd, pur contenendone i valori. Il problema è che il Pd non riesce a sollecitarli, questi valori, perché ormai è un partito molto di palazzo e molto meno di opinione pubblica.

Ma quindi secondo lei anche le Sardine sono populiste?

Per paradosso sì, se populismo è anche far politica “in negativo”, ossia raccogliere tutti i contrari nei confronti di qualcosa. È la stessa logica politica, che si alimenta di un meccanismo di natura mimetica. L’elemento negativo unisce, il problema è che nessuno riesce più a costruire.

Gli ultimi sondaggi ci dicono anche che Salvini cala e Meloni cresce. Da cosa dipende?

C’è un effetto saturazione molto rapido. Gli italiani si stancano molto rapidamente e cercano volti nuovi e posizione nuove. I voti che sono passati dai 5Stelle a Salvini sono gli stessi voti arrabbiati che ora trovano Meloni più coerente. E poi ha stancato meno di Salvini, che è stato iperpresente. Ma sono comunque voti che rimangono all’interno di un’area ostile, arrabbiata, alternativa. Dovessero stancarsi pure di Meloni, non passerebbero certo al Pd.

È possibile normalizzare i populisti?

La normalizzazione avviene quando arrivano al governo, come è accaduto al M5S. L’atteggiamento negativo a quel punto non funziona più, perché ad un certo punto si è costretti a fare delle cose e ad esporsi al fatto che cresce contro di te un’opposizione che può usare l’arma del negativo contro di te. Il paradosso delle Sardine è che nascono contro un’opposizione e non contro un governo e questo è il loro elemento di debolezza. à in Emilia è difficilissimo.