«Potremmo dirci soddisfatti dei risultati colti nell’interlocuzione col governo, chiaramente superiori rispetto a quelli ottenuti dalla giunta precedente. Ma credo che l’esecutivo guidato da Albamonte, di cui ho fatto parte, debba rivendicare innanzitutto un merito: aver sottratto l’Anm al rischio del moralismo isolazionista, averla restituita a una dimensione aperta e plurale, anche attraverso il fronte comune con l’avvocatura». È la sintesi che Antonio Sangermano propone sulla fase dell’Anm di cui è stato protagonista, da vicepresidente della giunta esecutiva centrale. Una svolta «silenziosa», come la definisce lui, di cui forse non si è colto il significato per l’approccio meno fragoroso rispetto a quello di Davigo.

Certo non è stato un anno facile: per alcune indagini che hanno visto magistrati sotto accusa e per un certo clima di insofferenza nei confronti dell’ordine giudiziario.

Dopo l’anno che ha visto Davigo al vertice dell’Associazione abbiamo dovuto gestire una fase delicata. Il compito principale svolto, egregiamente, dalla giunta Albamonte è stato quello di accreditare un’immagine diversa della magistratura associata. Che è tornata a essere un’agorà in cui si discute e ci si confronta, affrancata da una dimensione meramente corporativa o di chiusura verso il resto del mondo.

È stato questo il segno della presidenza Davigo?

Posso dire che l’immagine proposta dalla nostra giunta è stata decisamente più aperta, polifonica, in chiara contrapposizione a quella incarnata, anche al di là della sua volontà, da Davigo. Durante la sua presidenza è stato trasmesso all’esterno il messaggio di una magistratura inquirente giustizialista, quasi un contropotere di pochi eletti che si contrappone alla politica. Ripeto: questa è la narrazione che la stampa ha restituito.

Possibile che un presidente, da solo, avesse cambiato il volto dell’Anm?

Davigo non ha avuto alcun idoneo contraltare culturale. La sua guida carismatica ha fagocitato l’immagine dell’intera magistratura. Certo, è stato possibile anche grazie a un’agibilità mediatica e a una capacità comunicativa senza precedenti. A quell’assenza di dialettica mi piace contrapporre l’ultimo congresso celebrato dall’Anm, che ha restituito voce a tanti colleghi ridotti al silenzio da una nar- razione monocorde della magistratura.

Va detto che il riscontro mediatico della presidenza Davigo non è stato accompagnato dal successo “sindacale”.

La sua giunta, oggettivamente, non ha colto alcun obiettivo. In quest’anno appena concluso di presidenza Albamonte, viceversa, siamo riusciti a raggiungere risultati importanti. Abbiamo dialogato con il governo, innanzitutto con il ministro della Giustizia, sempre rispettando l’autonomia della politica. E per esempio si è riusciti a ottenere, in materia di intercettazioni, che fossero armonizzate le più stridenti discrasie, pur subendo una riforma che continua a non convincerci. Abbiamo indotto correzioni senza strillare, senza andare nei talk show, ma con sobria determinazione. In qualche caso siamo riusciti a scongiurare del tutto il pericolo di interventi che ritenevamo sbagliati.

Ad esempio?

Tengo a sottolineare lo stralcio della riforma del minorile, tema che, da procuratore presso il Tribunale dei minori di Firenze, mi preme molto. Era stata prevista la cancellazione dell’assetto attuale: avrebbe voluto dire rinunciare alla peculiarità di un universo giudiziario che invece era necessario mettere in salvo.

E però in questo modo sono rimasti irrisolti nodi quali l’assoluta mancanza di uniformità delle procedure, che il Cnf ritiene indispensabile superare.o sono convinto che il prezioso dialogo con l’avvocatura, già avviato, potrà portare a una riforma condivisa, che pur superando le disarmonie esistenti preservi la specificità dell’universo minorile.

Si dire chiusa la fase, inaugurata da Mani pulite, dell’impropria supplenza della magistratura rispetto alla politica?

A quel potere di supplenza sono sempre stato contrario. I magistrati non lo vogliono, casomai lo subiscono, perché crea un’impropria sovraesposizione in cui può allignare qualche protagonismo peronistico. La magistratura deve occupare lo spazio che le è proprio, rivendicando la propria autonomia senza collateralismi e senza intestarsi palingenesi etiche che non le competono.

Questo può portare a un minore interventismo sui temi eticamente sensibili?

Guardi, se dovessi indicare il senso più profondo della mia esperienza da vicepresidente sceglierei di certo il tentativo, che ho portato avanti, di dare rilevanza e visibilità culturale a una componente della magistratura indisponibile alla subalternità ideologica e culturale rispetto a ogni forma di ‘ neoconformismo democratico’. Ma la mia posizione sui nuovi diritti è stata totalmente fraintesa: voleva essere una riflessione sul senso del limite della giurisdizione, che non dovrebbe essere mai demiurgica né dovrebbe assecondare l’impropria supplenza che le viene assegnata. Lo dico, sia chiaro, senza pregiudizi verso alcun orientamento, anzi con profondo rispetto verso tutti.

L’autonomia può ssolutamente sì. Uno dei tratti caratterizzanti della giunta Albamonte è nella definizione di un fronte comune con l’avvocatura attorno a questioni condivise: è una strategia fondamentale per rapportarsi alla politica in modo autorevole. Ed è una strategia che i due soggetti della giurisdizione possono praticare mantenendo ciascuna i propri indeclinabili punti di vista sulle tematiche che li dividono: penso alla separazione delle carriere, sulla quale restiamo fermamente contrari. Alla comune urgenza di tutelare l’autonomia della giurisdizione si può dare risposta con un più forte riconoscimento del ruolo dell’avvocato in Costituzione? Parto da un presupposto: vanno mantenute chiare le differenze tra magistrato e avvocato, ma va anche implementata la comune cultura della giurisdizione e valorizzato sempre più il ruolo dell’avvocato quale tutore dei diritti, oltre che prezioso interlocutore dialettico. Ripeto, la sola revisione che mi vede nettamente contrario riguarda la creazione di surrettizie forme di dipendenza del pm dal potere politico. Il pm deve rimanere indipendente e non può diventare un avvocato dell’accusa. Certo l’indipendenza ha un prezzo: servono comportamenti coerenti, garantisti e ispirati al senso di umanità. A proposito di pm: cosa pensa del nascente coordinamento che riunisce tutti i procuratori? Se ne occuperà la nuova giunta, che peraltro è composta da persone dallo spiccato profilo. Personalmente mi limito ad auspicare un dialogo e un confronto con l’Anm, privo di asprezze e pregiudiziali, costruttivo e consapevole del’insostituibile ruolo democratico svolto dall’associazionismo. L’Anm non è una piazza che ospita una rissa perenne: è un luogo di confronto prezioso, che può aprirsi alle novità senza demonizzarle, ma al contempo senza disperdere la propria funzione.

«DALL’ISOLAZIONISMO MORALISTA SIAMO TORNATI A UN APPROCCIO APERTO E PLURALE, CON RISULTATI POLITICI SUPERIORI. IL DIALOGO CON LA PROFESSIONE FORENSE È DECISIVO PER DIFENDERE L’AUTONOMIA»