Sì, confermo le accuse di Salvi: il progetto dei libri è stato costruito “a tavolino”, per la precisione un tavolino di un bar dei Parioli a Roma.
Era scoppiato lo scandalo Palamara ed io all'epoca dirigevo Il Giornale. Leggendo ogni giorno su altri quotidiani le chat di Palamara, decido di chiamare una mia giornalista che si occupava di questi temi per bere un caffè e “cazziarla” perché non riusciva a recuperarle. E lei, “a tavolino”, mi risponde che aveva visto Palamara, ci aveva parlato, ma non aveva avuto nulla. ' Prova a chiamarlo tu che sei un direttore e magari ci riesci', mi dice. Io gli risposi che non lo avrei fatto, anche perché in quel periodo Palamara mi stava molto antipatico. Di fronte alla mancanza di alternative, però, alzai il telefono e fissai un appuntamento.
Gli chiesi se potesse darmi un po' di materiale, anche sentendo i suoi avvocati. Mentre stavamo discutendo, gli chiesi anche se avesse voglia di raccontare un po’ di cose che erano successe in questi anni nel suo mondo, quello delle procure e dei tribunali.
Un no secco e finì lì.
Dopo tre mesi. Si fece vivo lui dicendomi che a determinate condizioni la mia proposta era fattibile e quindi partimmo con il racconto. Tieni presente che all'inizio non avevamo una casa editrice. Ho dovuto insistere. Altro che complotto.
A me vengono i brividi che un magistrato possa fare considerazioni del genere senza un minimo di indagini. Qualche ragione per mettere in dubbio questa giustizia ci sono. Se Salvi, da buon magistrato, avesse indagato avrebbe scoperto che io di magistratura non so nulla, adesso so qualcosa perché me lo ha raccontato Palamara. Quando sciorinava nomi di procuratori, ad esempio Giuseppe Pignatone ( procuratore di Roma, ndr), io dissi: ' Pignatone chi?'. Credo che in quel momento abbia pensato che fossi un cretino che non sa nemmeno chi è Pignatone. La mia ignoranza, però, è la forza del racconto di Palamara: uno scrivente totalmente disinteressato che non poteva guidarlo in alcun modo. L’unico mio compito è stato verificare la fondatezza di quanto affermato da Palamara.
I magistrati hanno la querela facile. Hanno una concezione “giudiziario- centrica” della vita. Tutto deve essere portato in tribunale, l’unico luogo di verità. A me sembra chiaro che Salvi faceva parte del sistema delle correnti. Lui che ha vissuto, zitto, in quel mondo, ora parla perché va in pensione. La stessa accusa che rivolgono a Palamara, quella di parlare ora perché non è più in magistrato. Salvi ha fatto carriera in quel modo, ma cosa vuole da me?
Certo, il racconto è vero. Sono passati due anni dall’uscita del libro e adesso Salvi si sveglia e dice che non è vero. Ci sarà un giudice terzo, e spero sia terzo, che accerterà se è vero o meno. E comunque su Salvi Palamara ha offerto dei riscontri di quell’incontro.
Quella è stata una vicenda all'italiana, dove tutte le tragedie finiscono in farsa.
È questo che deve spiegare Salvi, un episodio che spiega tante cose, molto più interessanti dei suoi pranzi con Palamara sulle terrazza romane.
Ha raccontato tutto ciò che serviva alla ricostruzione del “Sistema”, tralasciano quello che gettava discredito sui singoli e che comunque non era importante. Non ha fatto come certi magistrati che mettono nei fascicoli intercettazioni penalmente irrilevanti che hanno il solo scopo di screditare l’indagato.
Al momento quattro, uno l’ha ritirata. Un procedimento si è concluso con un proscioglimento e due sono in corso.
I magistrati si fanno ricchi con le querele. Capisco che Salvi voglia arrotondare la pensione, ma si cerchi un secondo lavoro e non chieda soldi a chi ha solo scritto la verità.