«Siamo un Paese sovrano, non ci faremo ricattare!». Il ministro del made in Italy Adolfo Urso replica con gli stessi bellicosi toni al missile aria-terra lanciato dal padrone di Ryanair Michael Ò Leary che aveva definito «spazzatura» (rubbish) il decreto del governo Meloni per arginare le tariffe dei biglietti aerei.

Il magnate irlandese però non si è limitato a insulti e rimostranze, annunciando rappresaglie concrete come la riduzione del numero di voli per la Sicilia: «È un decreto stupido che ridurrà i voli aumentando il costo dei biglietti. Abbiamo già ridotto i voli del 10% in Sardegna e lo faremo quest’inverno anche per la Sicilia. Le nuove rotte di quest’inverno da Orio e Malpensa saranno solo internazionali e non domestiche». Ò Leary è convinto che il provvedimento del governo vada in contrasto con le norme comunitarie che assegna alle compagnie ampi margine nella variazione delle proprie tariffe: «È palesemente illegale, basato su consigli falsi e inaccurati di Enac, verrà di sicuro rigettato dall’Unione europea». In sostanza Ò Leary non vuole neanche discutere con le autorità italiane escludendo qualsiasi compromesso, al punto che il senatore di Fratelli d’Italia Salvo Pogliese ha reagito in modo alquanto rabbioso: «È un coniglio che tenta di evitare il dibattito».

C’è poi la spinosa questione degli algoritmi che sarebbero impiegati dalla Ryanair (e altre compagnie) per far fluttuare i prezzi secondo criteri combinati come la profilazione del cliente (identificando per esempio la città di provenienza e il dispositivo utilizzato per la prenotazione), la prossimità di appuntamenti popolari come un evento sportivo o un grande concerto, e persino le condizioni meteorologiche. «Sciocchezze», ha tagliato corto Ò Leary, «gli italiani guardano troppo Netflix, l’unica cosa che fa modificare i prezzi è il numero di passeggeri: più l’aereo è pieno più vanno verso l’alto». Se dal consiglio di amministrazione di Ryanair negano dunque di impiegare algoritmi del genere per ottimizzare i profitti, nel 2020 un’inchiesta del ministero dei trasporti britannico stabilì il contrario. Ad esempio denunciando la separazione delle famiglie a bordo dell’aeromobile una pratica che colpisce circa il 35% dei viaggiatori, costretti a pagare un “piccolo supplemento” pur di sedersi accanto ai propri cari, anche in questo caso sarebbe l’algoritmo a vagliare assegnando posti eterogenei ai clienti con lo stesso cognome.

Sullo sfondo della piccola guerra dei cieli tra il nostro esecutivo e la celebre compagnia di voli low cost, la seconda più utilizzata del pianeta dopo la Southwest Airlines, c’è una contraddizione “novecentesca”, apparentemente insanabile tra il libero mercato e il pubblico interesse, che nel settore dell’aviazione civile assume connotati esemplari.

Quando nel 1978 dagli Stati Uniti l’Airline deregulation act sancì la liberalizzazione dei cieli ponendo fine al monopolio dei vettori di bandiera, milioni di passeggeri hanno iniziato a viaggiare a prezzi fino a quel momento impensabili, una rivoluzione che ha senza dubbio cambiato il modo di viaggiare e la stessa l’industria del turismo globale che nei decenni ha moltiplicato i fatturati. Ma in cambio è drasticamente diminuita la qualità del servizio, dai pasti all’assistenza durante il volo, fino al trasporto dei bagagli.

Inoltre l’abbassamento dei prezzi rimane estremamente discontinuo, legato per l’appunto a fluttuazioni e criteri non sempre trasparenti. La liberalizzazione ha anche segnato la morte di decine e decine di storiche compagnie aeree come la Panam e la stessa Alitalia che non hanno potuto tenere il passo dei nuovi operatori low cost, anche perché l’abbattimento delle tutele sindacali per il proprio personale (in particolare i salari) rende impossibile la competizione.