Dopo oltre 15 anni, l’aeroporto internazionale di Sebha, nel sud della Libia, è tornato operativo per una missione di rimpatrio volontario. Sono 157 i cittadini ciadiani che hanno lasciato il Paese su base volontaria, nell’ambito di un’operazione coordinata dal governo orientale guidato da Osama Hamad – nominato dalla Camera dei rappresentanti – con il supporto della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).

A supervisionare personalmente la partenza è stato il ministro degli Esteri della Libia orientale, Abdulhadi al Hweij, durante una visita ispettiva presso lo scalo. Il capo della diplomazia dell’est ha ribadito la posizione dell’esecutivo: «Ci opponiamo a qualsiasi tentativo di reinsediamento dei migranti in Libia. Il nostro Paese non può diventare un poliziotto per le frontiere europee».

Un nodo critico sulla rotta migratoria africana

La città di Sebha, principale centro del Fezzan, è da anni uno degli snodi chiave delle rotte migratorie subsahariane dirette verso la costa libica e da lì all’Europa. Proprio qui passano la maggior parte dei migranti in fuga da guerre, carestie e crisi economiche, che attraversano confini porosi e deserti ostili, esponendosi a rischi estremi.

Secondo l’ultimo rapporto dell’OIM, in Libia si trovano oggi oltre 858mila migranti, con un aumento di circa 35mila unità solo negli ultimi due mesi. Il 31% di questi proviene dal Sudan, in piena guerra civile.

Il deserto uccide più del mare

Nonostante l’attenzione mediatica sia spesso concentrata sui naufragi nel Mediterraneo centrale – che solo nei primi due mesi del 2025 hanno fatto almeno 260 vittime – è il deserto libico a mietere il numero più alto di morti, spesso invisibili e non registrati. L’OIM stima che il 95% dei migranti subsahariani entri in Libia attraverso rotte non ufficiali, rendendo difficile ogni forma di controllo e assistenza.

Nel frattempo, gli arrivi via mare in Italia sono aumentati del 33% rispetto allo stesso periodo del 2024, con 6.808 persone sbarcate tra gennaio e febbraio. Numeri che confermano la crescente pressione migratoria sulla rotta centrale del Mediterraneo, la più pericolosa al mondo.