Per capire cosa è accaduto nella prima tornata elettorale in Turchia non ci vuole molto: basta guardare le cartine che rendono graficamente la distribuzione dei voti ai due contendenti ed è tutto chiaro. O quasi.

C’è una vasta e popolosa area anatolica, la profonda Anatolia centrale e la costa del Mar Nero, che, con l’eccezione di Ankara, ha votato Erdogan e una cintura che muove da Istanbul e dall’area europea per scendere lungo il Mediterraneo e poi risalire nel sud est della Turchia ( corrispondente al Kurdistan turco, ma non solo) che ha votato Kilicdaroglu. Arretratezza contro apertura al mondo?

Sì, in parte. Religiosità contro secolarismo? Sì, in parte. Valori metropolitani contro il vecchio dio, patria e famiglia? Sicuramente. Campagna elettorale televisiva contro campagna sui social? Anche questo ha contato. E cominciamo da questo dato, apparentemente periferico.

Erdogan ha riempito i suoi canali TV, cioè praticamente tutti. E lo sta facendo ogni sera ancora adesso che i comizi non hanno ancora ripreso. Una campagna apparentemente semplice, ma invece molto sofisticata, fatta di lunghissimi spot ( se si può parlare di spot per video che durano 7- 8 minuti ciascuno) girati benissimo dai migliori registi sulla piazza, quelli che creano le serie storiche con gli attori e le attrici più glamour ( Solimano, Barbarossa, Rumi e via elencando). Si fanno rapidamente vedere le conquiste dell’era Erdogan ( ma non i loro costi e chi li ha pagati) compreso la sconfitta del tentativo di colpo di stato del luglio 2016.

In mezzo a questa narrazione esaltante c’è ovviamente sempre lui, non circondato da polizia o militari, ma solo da folle oceaniche da cui si staccano bambini per saltargli al collo o anziane madri velate per abbracciarlo. Sono bandite le belle figliole coi capelli al vento. Le immagini vanno diritte al cuore ( e alla pancia) della stragrande maggioranza del “suo” popolo e bisogna essere ben smaliziati per decrittarle. Sui social, che fecero la fortuna dell’opposizione nelle ultime amministrative, si dovrebbero smuovere le acque, ma è ben difficile che un personaggio “moscio”, di quasi 75 anni ( più dell’avversario), onesto, ma burocrate che ha lavorato sempre e solo come impiegato statale, quale è Kilicdaroglu, susciti entusiasmo nei giovani, magari votanti la prima volta. Per carità, eccetto che sui migranti siriani e sulla politica estera del paese ( mica poco, però!) ha preso posizioni giuste: ma, non buca.

Anche sul post terremoto avrebbe dovuto fare un casino sulle responsabilità governative ( sul prima e sul poi) ed invece non lo ha fatto. Lasciando spazio ad una affermazione del governo in 8 delle 11 province colpite, che avrebbero dovuto, invece, votare compatte per l’opposizione. Ad Hatai, fra tutte la più distrutta, dove ancora non si sa quanti siano stati i morti, manca poco che la maggioranza andasse anche lì a Erdogan. Che è stato abile a organizzare i container dove votare. E anche questo conta.

Lasciamo stare la politica estera, di cui ai turchi interessa veramente poco ( anzi, la maggioranza è nazionalista e antiamericana) e dove lo sfidante non ha detto nulla di diverso dal governo in carica ( siriani da rimandare a casa compresi). Essa è stata utilizzata astutamente da Erdogan per essere sicuro dell’appoggio di tutti i cancellierati esteri e così vantare più forza all’interno.

E’ soprattutto sul tema dei valori – primo fra tutti quello della religione – che si è giocata la partita: le donne, che sono la maggioranza, avrebbero dovuto esprimersi contro chi è uscito dalla Convenzione di Istanbul, facendo impennare gli omicidi, impuniti, di mogli, figlie e sorelle, ed invece anche questo fenomeno rifluisce nella difesa della famiglia: una e tradizionale, non c’è spazio per altro.

Questi valori hanno fatto aggio persino sulle considerazioni economiche: inflazione al galoppo da anni e disoccupazione, soprattutto giovanile, in crescita dal 2018, avrebbero dovuto indurre a cercare di voltare pagina. Invece, no. Il corpaccione della Turchia profonda evidentemente pensa che l’inflazione, come è venuta passerà, e i figli troveranno un lavoro nero, se i migranti siriani e afgani non glielo rubano.

Occorre sorreggere, pensano, chi li ha trasferiti dai tuguri di campagna, dove avevano convissuto da generazioni con gli animali, agli orrendi condomini che, anche se sono a rischio di crollo per terremoto, però hanno bagno ed acqua calda. E c’è del giusto in tutto ciò. Questa è la realtà di quella Anatolia profonda che si diceva.

Il resto lo fa la politica politichese: le alleanze, forti coi fascisti per Erdogan e deboli per Kilicdaroglu sia a sinistra ( partito HDP, che è andato meno bene del previsto) che a destra ( partito Yi, che è andato proprio male), fanno sì che gran parte dei voti del terzo incomodo Ogan andranno naturalmente al primo dei due.

La fedeltà e la tenacia dell’elettorato di Erdogan spingeranno fino all’ultimo dei suoi votanti ad andare alle urne il 28; le incertezze e lo scoramento dei votanti di Kilicdaroglu difficilmente attrarranno votanti nuovi.

In assoluto, i due sono separati da poco meno di 2 milioni di voti. Tanti, forse troppi per chiunque non abbia chiarissimo dove e come recuperarli. Ma in politica esistono anche i miracoli: li chiamano risultati inattesi.