Il 17 aprile si voterà in tutta Italia per il referendum abrogativo sulle trivellazioni in mare. Meglio conosciuto come il “referendum trivelle”, il quesito riguarda l’abrogazione del comma 17 dell'articolo 6 del Dlgs 152/2006 (Norme in materia ambientale) e chiede agli elettori di rispondere alla domanda: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”.TRIVELLE: QUANTE, DOVE, QUANTO PRODUCONOIl quesito chiede agli elettori di decidere se i permessi per l’estrazione di idrocarburi entro acque territoriali, ovvero da piattaforme situate entro le 12 miglia dalla costa, debbano durare fino all’esaurimento del giacimento oppure fino al termine dell’attuale concessione.Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, le concessioni interessate al referendum sono in tutto 21 e riguardano 48 impianti, distribuiti nell’Adriatico e lungo la costa occidentale della Sicilia. Di queste, 39 estraggono gas naturale e 9 petrolio. Questi pozzi, nel 2015, hanno contribuito per il 28,1% alla produzione nazionale di gas e per 10% a quella petrolifera. Si tratta di pozzi aperti prima della nuova legge in materia ambientale, che vieta tutte le nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa.La legge attuale, che riguarda le piattaforme già utilizzate, prevede che la durata iniziale della concessione sia di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda e una terza per altri 5. Poi, l’azienda può chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento. Se al referendum vincesse il sì, i primi impianti chiuderanno tra cinque anni, gli ultimi tra quindici.CHI VOTA SI’I sostenitori del sì, i “No-Triv”, vogliono impedire il rinnovo delle concessioni. Sostenitori del sì sono le associazioni ambientaliste, in prima fila Greenpeace e Legambiente. Le ragioni dei No-Triv sono prima di tutto di natura ambientale: secondo loro le trivellazioni andrebbero fermate per tutelare il mare. Le tecniche di ricerca ed estrazione di idrocarburi, infatti, potrebbe incidere sulla fauna marina. Inoltre le piattaforme a 12 miglia dalla costa (circa 20 chilometri) deturperebbero il paesaggio turistico sulle coste. Infine, la presenza di piattaforme porterebbe con sè la possibilità di eventuali incidenti. Per i promotori, inoltre, il voto ha una forte valenza simbolica: l’eventuale vittoria del sì, infatti, riporterebbe con forza al centro del dibattito politico il tema delle energie rinnovabili.CHI VOTA NOA sostegno del no al referendum, e dunque a favore di continuare a sfruttare i giacimenti già utilizzati, fino al loro naturale esaurimento, è il comitato “Ottimisti e razionali”.le ragioni del no riguardano principalmente la questione energetica: l’Italia dipende ancora dai combustibili fossili e estrae dal suo territorio circa il 10% del gas e del petrolio che utilizza. Rinunciando alle concessioni entro le 12 miglia marine, non ci sarebbe alcuno spostamento verso la produzione di energia da fonti rinnovabili, ma semplicemente il Paese dovrebbe acquistare da altre parti del mondo la quota di gas e petrolio non prodotta autonomamente. In questo modo, l’Italia diventerebbe ancora più dipendente dai colossi fornitori, come la Russia, l’Egitto e la Libia. Dal punto di vista sociale, la chiusura dei pozzi significherebbe una perdita importante per l’economia italiana, sia in termini occupazionali diretti che di indotto. Sul fronte ambientale, infine, le compagnie petrolifere evidenziano una dato: le località della riviera romagnola, dove sono situate numerose piattaforme, ha ricevuto nel 2015 ben nove bandiere blu, simbolo del mare pulito.PERCHE’ NO ALL’ACCORPAMENTO CON LE AMMINISTRATIVEIl problema di ogni referendum è il raggiungimento del quorum. Per questo i promotori avevano chiesto che il voto referendario venisse accorpato con quello delle elezioni amministrative, previste per il mese di maggio in molte grandi città italiane, come Roma, Milano e Napoli.La richiesta, però, non è stata accolta dal Ministero dell’Interno per ragioni di natura tecnico-amministrativa. Gli uffici elettorali, infatti, hanno una composizione diversa (4 scrutatori per le elezioni amministrative, 3 per il referendum), inoltre sarebbero sorti problemi per la ripartizione degli oneri finanziari e per l’ordine di successione dello scrutinio. Il ministro Angelino Alfano ha sottolineato che "l'assenza di disposizioni specifiche sull'accorpamento tra referendum ed elezioni amministrative renderebbe inevitabile, pertanto, un intervento di carattere legislativo, non avendo né il governo né il ministro dell'interno alcun potere decisionale per disporre autonomamente e con strumenti amministrativi l'abbinamento delle due diverse consultazioni".