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C’è una donna, sfinita ma tenace, che aspetta una telefonata. Alla fine l’avvocato Titta Madia chiama e comunica: «Niente ergastolo, niente omicidio volontario, tuo marito non passerà in carcere il resto dei giorni, una nuova Corte d’appello dovrà rideterminare la pena». Lei, Barbara, scoppia a piangere, perché si affaccia ancora una volta sulla vertigine in cui è sospesa da 9 lunghi anni: mio marito non è un mostro eppure nessuno ci crede.
Lui, Pier Paolo Brega Massone, il dottor Frankestein della cosiddetta clinica degli orrori, è a sua volta sospeso tra due ipotesi, nascoste nelle motivazioni che la Suprema corte depositerà: omicidio colposo o omicidio preterintenzionale.
L’INCUBO DI UNA VERITÀ A CUI NESSUNO CREDE
Barbara Magnani è la moglie del mostro. Sarà anche una donna gentile ma quando nelle cronache viene riportata una sua dichiarazione, la si precede sempre con espressioni del tipo “... ebbe il coraggio di dire... ”. Perché la coniuge di un chirurgo toracico che - dicevano fino all’altro ieri le sentenze - opera solo per incassare i rimborsi del sistema sanitario, non merita neppure di piangere l’assenza del marito. Adesso un velo di fi- ducia nella giustizia si è acceso negli occhi di questa signora. Secondo i familiari delle quattro vittime, Brega Massone «deve pagare tutto». Ma per la sua famiglia, il medico oggi 51enne ha sempre fatto il suo dovere. Ha praticato spesso una tecnica di chirurgia toracica che ha in realtà una funzione diagnostica. Quattro dei pazienti sottoposti a quel tipo di intervento sono deceduti: Giuseppina Vailati, 82 anni, Maria Luisa Scocchetti, 65 anni, Gustavo Dalto, 89 anni e Antonio Schiavo, 85 anni. Secondo la difesa, non furono i ferri del chirurgo ha causare le morti, ma un quadro già in gran parte compromesso, rispetto a cui Brega Massone provò, con gli interventi, a verificare se esisteva una estrema possibilità di recupero. Secondo l’accusa, si trattò di «cose inspiegabili, con «asportazioni di pezzi più o meno grossi di polmone». Stabilre la verità era doveroso. Ma se a dodici anni dai fatti contestati, dopo due distinti procedimenti penali, una condanna della Corte dei conti e due cause di risarcimento civile, se in capo a questo lungo iter, la Cassazione stabilisce che hanno sbagliato sia in primo che in secondo grado, potrà essere legittimo dubitare che la verità stia davvero in quell’appellativo, “mostro”?
E questa la vertigine da incubo. Il labirinto in cui sono intrappolati i familiari del medico. Loro, e i loro avvocati, hanno sempre protestato per il fatto che in entrambi i processi penali i collegi giudicanti si siano rifiutati di commissionare perizie d’ufficio. Sono stati ascoltati solo i pareri dei consulenti di parte, accusa e difesa. Mai un tecnico che dovesse rispondere solo al giudice terzo. Un’anomalia. Che potrebbe essere tra le archirtavi della pronuncia arrivata due giorni fa dalla Suprema corte.
DALL’ARRESTO DEL 2008 AI DUE PROCESSI
La clinica Santa Rita è un fiore all’occhiello della sanità lombarda. Brega Massone vi lavora come primario del reparto di chirurgia toracica. Il sistema delle strutture private accreditate presso la Regione funziona perfettamente. Ma è anche oggetto di insinuazioni. A metà degli anni 2000, all’epoca dei fatti contestati a Brega Massone, l’amministrazione è presieduta da Roberto Formigoni e il sistema sanitario è considerato sotto il pieno e capillare controllo della componente politica a cui fa capo il governatore, Comunione e liberazione. In un clima segnato da veleni impercettibili, si verificano le drammatiche vicende che costeranno le condanne a Brega Massone. I quattro decessi e gli oltre 100 casi complessivi di operazioni non necessarie, in parte delle quali sarebbe stato rilevato il reato di lesioni, anche gravi. Il 9 giugno 2008 il chirurgo viene arrestato insieme ad altre 13 persone, tra amministratori e medici della Santa Rita. Lui e Fabio Presicci, il suo “braccio destro” ( condannato a 25 anni in Appello e anche lui destinatario della sentenza di annullamento della Cassazione), sono gli unici a finire in carcere, gli altri vanno ai domiciliari. I particolari sono immediatamente riportati dai media: mammelle asportate a donne anche giovani nonostante bastasse togliere i noduli, e soprattutto quei numerosi interventi al torace, fatali in cinque casi. Le indagini vanno avanti per 3 anni. Ne verranno fuori due distinti procedimenti a carico del chirurgo originario di Pavia: uno va più spedito, riguarda 83 operazioni «non necessarie», vede il chirurgo imputato per lesioni anche gravi e truffa e arriverà a sentenza definitiva il 26 febbraio 2015. Nell’altro si procede com più lentezza: dopo l’arresto il Tribunale del Riesame fa cadere l’ipotesi di omicidio volontario e i pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano cercano nuove prove, sia per la responsabilità di quelle 4 morti che per altri 45 casi di lesioni. Otterranno il rinvio a giudizio, con l’accusa caduta due giorni fa in Cassazione, nel giugno 2012.
IL DOPPIO NO ALLE PERIZIE D’UFFICIO
In entrambi i processi si assiste a un’ostinata impuntatura dei collegi giudicanti: no a perizie d’ufficio, basta il contraddittorio tra quelle di parte, che vede fatalmente soccombere i consu- lenti della difesa. Uno di questi è Massimo Martelli, valentissimo e famoso chirurgo toracico del Forlanini di Roma. Attesta in aula il che il collega si rifà a tecniche diagnostichìe d’avanguardia, sperimentate da diversi medici tedeschi. Il riferimnto alla Germania, come si vedrà, sarà però fatale. Intanto non basterà a convincere i giudici della correttezza di Brega Massone. In uno dei dibattimenti il presidente del collegio dice con chiarezza che, delle argomentazioni scientifiche proposte, «non si riesce a capire granché». E allora per quale motivo, nonostante la complessità della materia, i magistrati decidono di non farsi assistere da consulenti d’ufficio?
È l’effetto del clamore mediatico, che nel frattempo è diventato inevitabilmente assordante. Brega è per tutti il mostro, la Santa Rita, clinica degli orrori, deve cambiare nome in “Istituto clinico Città studi”, come si chiama ancora oggi. I giudici non se la sentono di ostinarsi a verificare in modo eccessivamente puntiglioso una verità già affermata sui giornali. Al punto che in una delle udienze del processo per omicidio, la presidente apostrofa così l’avvocato del chirurgo: «Stiamo facendo un lavoro inutile e mi domando come mai i difensori continuino a sollevare delle eccezioni quando basta andare con un iPad normale e queste telefonate le ascoltiamo. Le hanno riportate tutti i media, ci stiamo prendendo in giro, vogliamo smetterla? La Corte è veramente più che nervosa! Sono tutte opposizioni inutili, non portano da nessuna parte. La Stampa, il Corriere... la Repubblica ha riportato in grassetto le telefonate, in rete c’è l’audio e tutti noi usiamo questi sistemi. Quindi è una presa in giro quella che sta succedendo in quest’aula». Da verbale d’udienza, alla pagina 51. Come dire appunto che la verità era scritta sui giornali e riprodurre le prove in dibattimento era superfluo.
Il 15 gennaio 2014, dopo 6 anni, Brega Massone mette piede fuori del penitenziario di Opera: è scarcerato per decorrenza termini, in virtù del protrarsi del giudizio sulle 83 operazioni, dopo che la Cassazione ha chiesto di ricalcolare la pena inflitta in Appello, visto che nel frattempo il reato di truffa è andato in prescrizione. Saranno gli ultimi tre mesi, almeno fino ad oggi, trascorsi a piede libero dal chirurgo: il 9 aprile dello stesso anno Pier Paolo Brega Massone è condannato all’ergastolo nel processo di primo grado per i 4 omicidi ed è arrestato in aula. «C’è pericolo di fuga», secondo il dispositivo della Corte. Si scoprirà poco dopo, nelle motivazioni, che i contatti con i luminari tedeschi erano stati decisivi: alcuni di loro erano stati presentati dalla difesa come periti di parte, e i giudici danno per scontato che potrebbero assicurare ospitalità in Germania al collega italiano fuggiasco. D’altra parte, gli avvocati di Brega Massone hanno inutilmente insistito affinché il collegio nominasse periti d’ufficio.
LE PERIZIE CIVILI CHE “ASSOLSERO” BREGA
È la probabile sliding door di tutta la storia. Lo dimostra un fatto riferito con modesta risonanza da gran parte dei media. Oltre ai due procedimenti principali, vengono attivate anche due cause civili per risarcimento danni, da altrettante pazienti che preferiscono non attendere l’esito dei giudizi penali. In questi casi i magistrati si affidano a perizie d’ufficio, a consulenti tecnici da loro stessi nominati, E accertano la correttezza del chirurgo. L’avessero fatto anche i colleghi delle sezioni penali, cosa sarebbe successo? Come sarebbe andata? Chi può escludere con certezza che il chirurgo di Pavia fosse sì uno sbruffone, capace di esprimersi con parole spicce sui pazienti, sulle operazioni e sui relativi rimborsi da mettere a bilancio, ma non per questo si trattasse di un disonesto pronto a usare tecniche d’intervento «inutili» ? Non si è avuto il coraggio di sciogliere l’incognita. Che Brega massone fosse un assassino era verità così indubitabile che la psichiatra Chantal Podio, a fine 2014, riferì sconcertata di un suo colloquio in carcere col chirurgo, a suo dire «incapace di ammettere le proprie responsabilità, dunque impermeabile, un muro di gomma». La verità era così indiscutibile che lo scienziata della psiche neppure provava a chiedersi se dietro quella professione d’innocenza ci fosse almeno una parziale verità. I giornali, prima delle sentenze, l’avevano già scritta. E ora, a 9 anni dall’arresto, la Cassazione ci dice che quella verità, almeno in parte, era solo un dogma.