M<+tondo_giust>entre l’Unione Europea e gli Stati Uniti abbozzano una timida richiesta di rispetto dei diritti umani da parte di un Erdogan “fuori controllo”, analisti ed esperti cercano di rispondere a una semplice domanda: che cosa è realmente successo e perché? Chi ha vissuto i tre colpi di stato che negli anni Settanta e Ottanta hanno caratterizzato il destino politico della Turchia, sostiene che quello di giovedì fosse falso: troppo pochi i militari coinvolti e troppo secondari gli obiettivi assaltati, ossia la tv di Stato nell’epoca delle emittenze private e di internet, il Parlamento in orario notturno e prima di un weekend al mare per Erdogan e tre ponti di Istanbul poco strategici e difficilmente difendibili. A sostenere questa tesi è anche Fethullah Gulen, il predicatore miliardario arcinemico di Erdogan che da 15 anni vive in esilio volontario in Pennsylvania, in quegli Stati Uniti che il governo turco accusa di essere complici dei "terroristi". Che la possibilità di usare un colpo di stato per impedire a un sempre più radicalizzato Erdogan di modificare la Costituzione e far diventare la Turchia una Repubblica presidenziale fosse sul piatto, è cosa nota nelle cancellerie di mezzo mondo. Che l’organizzazione fosse così deludente invece non se lo aspettava nessuno, mentre le conseguenze sì: «La lista degli arresti era già pronta, come se tutto fosse preparato. Sono molto preoccupato, sta succedendo esattamente quello che temevamo» ha detto Johannes Hahn, il commissario europeo deputato ai negoziati con la Turchia per il suo ingresso nell’Ue. È indubbio che il fallito golpe, falso o vero che sia, stia servendo a Erdogan per fare piazza pulita degli oppositori militari e politici. Come scrive Metin Gurcan, ex militare e oggi editorialista di al-Monitor «il golpe è fallito perché vi hanno partecipato solo parte dell’aeronautica e della gendarmeria, che insieme formano poco più di un quinto dell’esercito. Mentre la marina e i reparti di terra, che ne sono l’ossatura, ne sono rimaste fuori». Una netta divisione che trova spiegazione, secondo Gurcan, negli interessi privati dei comandanti: «Le menti del golpe hanno di recente perso l’incarico o temevano di perderlo: ci sono prove che il generale Metin Iyidil, ex braccio desto del generale Kose, deposto a maggio, abbia giocato un ruolo chiave, così come il generale Akin Ozturk, che fino all’anno scorso era il comandante dell’aeronautica». Proprio mentre questo pezzo sta andando in stampa la tv di stato turca annuncia che Ozturk avrebbe confessato di essere la mente del golpe. Molti degli 8mila arrestati comparirebbero nell’elenco di coloro accusati dei far parte di Feto, l’organizzazione di Gulen: centinaia di persone che Erdogan avrebbe già ordinato di arrestare fra l’1 e 4 agosto prossimi, nel corso del processo militare per il caso di spionaggio di Izmir, una controversa storia del 2012 che vede imputate 357 persone fra cui decine di militari. L’ondata di nazionalismo e la sete di vendetta dopo la mancata rivolta permettono al governo di aumentare la repressione di qualsiasi opposione in atto già da qualche anno. Non c’è quindi da meravigliarsi che lo stesso Erdogan, una volta capito che il golpe non sarebbe andato da nessuna parte, lo abbia definito «un dono di Dio».