Psicodramma. Resta la parola più adatta. Lo è stata per la cancelliera del Tribunale di Genova che voleva portarsi in un ufficio una vanga metaforica e restituire agli avvocati la «merda» sotto cui, a suo dire, l’avevano sommersa. La stessa espressione, psicodramma, pare in grado di raccontare un altro proclama partito dal personale della Giustizia contro la professione forense, stavolta a Venezia.

Secondo la Fp Cgil Veneto, gli avvocati della città lagunare vorrebbero, nella sostanza, far venire il covid a tutti i frequentatori del Tribunale. Innanzitutto al persone amministrativo: «Gli avvocati chiedono di fare udienza di mattina, di pomeriggio e di sabato… perché l’udienza è, tra le altre cose, per loro fonte di guadagno». Ma, si legge nell’editto anti- forense, «la Fp Cgil Veneto non è disposta a rinunziare alla tutela dei lavoratori e della collettività, cui il servizio pubblico deve tendere, per l’interesse e i privilegi di pochi…».

Siamo a questo. Chi vorrebbe veder garantita una «rapida ed organica ripartenza» di quel «“servizio pubblico” di altissimo profilo sociale» che la Giustizia costituisce - come scrive, di contro, l’Ordine degli avvocati di Venezia - passa ormai per untore.

Il caso Venezia, la spia del paradosso Giustizia

Il caso riguarda il Tribunale, e il Foro, di Venezia. Certo. Ma è emblematico. È una spia di cosa accade ormai nel Paese, nel sistema giustizia. Sembra che gli avvocati siano gli unici a volerla far ripartire davvero. Non si tratta di piccoli isolati focolai polemici. Poteva sembrarlo la vicenda genovese. Ma certo non può esserlo l’anatema di una sigla confederale di una regione importante come la Fp Cgil Veneto.

E non può trattarsi di un caso isolato se si considera la linea seguita fin qui da Anm, e soprattutto dai capi di tanti uffici giudiziari che hanno interpretato il potere - loro riconosciuto la Dl Cura Italia - di modulare la ripresa nei Tribunali, nel senso di rinviare quasi tutte le udienze e tenere il motore della giustizia sotto il minimo, a rischio di farlo spegnere definitivamente.

Tanto che nella riunione virtuale tenuta una settimana fa dalle rappresentanze forensi con il dipartimento Organizzazione giudiziaria del ministero, la dirigente Barbara Fabbrini ha di fatto alzato le braccia di fronte alle scelte non sempre efficentiste, eppure non emendabili, di presidenti di Tribunale e procuratori capo.

Il presidente del Coa di Venezia, Sacco, replica alla Fp Cgil

Così spetta alle istituzioni forensi ripristinare la verità. E rispondere ad accuse come quelle della Fp Cgil Veneto, che assimilano la classe forense a una banda di untori “privilegiati” e menefreghisti. «Sono affermazioni», si legge nella replica diffusa ieri dal presidente dell’Ordine degli avvocati di Venezia, Giuseppe Sacco, «del tutto gratuite, infondate e profondamente offensive della dignità e della funzione sociale dell’avvocatura».

Il vertice del Coa lagunare ricorda che «è proprio in nome dei diritti, e in particolare del diritto alla salute di tutti gli operatori della giustizia (avvocati, magistrati e personale amministrativo), nonché di tutti coloro che, in qualità di parti, testimoni, consulenti e periti, frequentano le sedi giudiziarie, che nella fase di pre-lockdown gli avvocati sono stati i primi a richiedere, anche attraverso lo scaglionamento delle udienze, l’attivazione di misure volte a evitare pericolosi assembramenti all’interno degli uffici».

Allo stesso modo, si legge nella lunga nota di risposta al sindacato, «ora che ci si trova nel pieno della “Fase 2”, e alla luce del progressivo miglioramento della situazione epidemiologica, si vedono ripartire a pieno regime tutte le attività economico-sociali del Paese, gli avvocati sono (ancora) i primi a richiede a gran voce che anche l’attività degli uffici giudiziari riprenda e che si tornino a celebrare i processi penali e le cause civili». Anche perché non si può dimenticare, scrive appunto Sacco, che «la giustizia è un “servizio pubblico” di altissimo profilo sociale» .

La nota condivisa da tutte le rappresentanze forensi venete

Si tratta di una presa di posizione netta, condivisa dai vertici di tutte le rappresentanze forensi del Veneto. Alla nota del Coa hanno infatti aderito, con sottoscrizione in calce, la Camera penale veneziana, la Camera civile, Aiga Venezia, la sezione veneta degli Avvocati giuslavoristi. E ancora, i presidenti delle sezioni veneziane dell’Associazione avvocati per la famiglia e i minori, di “Cammino”, Associazione avvocati familiaristi italiani, Movimento forense, Anf, Unione forense per la tutela dei Diritti umani e di altre sigle ancora.

Nella replica dell’avvocatura al sindacato del personale si ricorda pure che «migliaia di lavoratori, senza interruzioni o rallentamenti, hanno assicurato le loro prestazioni per garantire ai cittadini servizi e beni essenziali durante tutto il periodo di lockdown. Basti pensare al lavoro svolto dal personale sanitario o da quello dei supermercati». E che viceversa «sostenere a gran voce il perpetuarsi» dello «smart working», come i sindacati dei cancellieri pretendono, vuol dire rassegnarsi a una «forma del tutto residuale di utilizzo delle risorse».

Nonostante le accuse e il paradossale rovesciamento della realtà del privilegio, leggibile proprio alla luce del tifo per l’attività da remoto a oltranza, l’intera avvocatura veneta prende spunto dalla «dichiarata disponibilità al confronto tra le parti sociali» per «trovare quanto prima la strada per una ripartenza». In nome di una fede nella dialettica che gli avvocati coltivano con ostinazione persino cieca. E che altri invece a volte sembrano rinnegare.