Bristol, Hull, Blackpool, Stoke on Trent, Rotherham, Tamworth, Middlesbrough, gli stessi sobborghi proletari dove 45 anni fa i lavoratori delle miniere e delle ferrovie sfidarono (perdendo) Margaret Thatcher, sono oggi il teatro di una furiosa caccia al migrante, di assalti ai centri di accoglienza per i richiedenti asilo e persino ai luoghi di culto musulmani.

Danni per milioni di sterline, decine di feriti, oltre seicento arresti, le comunità straniere che da giorni vivono nel terrore e che, a loro volta, si organizzano in milizie di autodifesa. Sembra la sceneggiatura di una serie tv sull’implosione della società britannica, un preludio di quella civil war evocata e strombazzata dal miliardario Elon Musk in uno dei suoi soliti e irresponsabili interventi su X da lui trasformato in una discarica complottista, in una fabbrica di fake news a web aperto.

Dietro questa perdita assoluta di senso politico lo sfondo scuro della Brexit che ha alimentato le fratture nella società britannica, isolata e incanaglita, la crisi sociale di un Paese prospero, ma lacerato nelle sue enclave di povertà, nelle zone d’ombra della disoccupazione che torna a galoppare soprattutto tra i più giovani, della recessione economica e della crescita zero. Nel 2023 quella inglese è stata infatti l’unica economia tra i Paesi avanzati a chiudere il bilancio con il Pil in flessione rispetto all’anno precedente (la media del G8 è circa + 1,2%) e le stime per il 2024 nonindicano miglioramenti.

L’impoverimento e la mancanza di prospettive nelle periferie degradate delle grandi città e nei centri di provincia sempre più spopolati, sono condizioni necessarie ma non sufficienti per innescare la miccia della violenza, ci vuole qualcosa di più per convincere le persone a bruciare le moschee e lanciare estintori contro la polizia, ci vuole un elemento ideologico e psicologico che faccia leva sulle frustrazioni e sulle paure. E un capro espiatorio “classico”, come da sempre sono gli stranieri.

A gettare benzina sul fuoco ci sono naturalmente le formazioni xenofobe di estrema destra come il British National Party (Bnp) che da anni farfugliano di invasioni e sostituzioni etniche, i gruppuscoli fascistoidi dell’ “orgoglio bianco”, ma si tratta di organizzazioni minoritarie e residuali, che al limite tentano di “parassitare” le sommosse per aumentare i loro magri consensi.

Dietro i “riot” razzisti non c’è alcuna cabina di regia, nessuna pianificazione, sono rivolte spontanee, germogliate all’interno di una working class senza più coscienza di classe, assediata da fantasmi e da nemici immaginari e che si muove come un branco. L’incendio quasi sempre viene alimentato dal telefono senza fili dei social media, generatore automatico di informazioni distorte e, anche nel caso delle rivolte britanniche, è andata così.

Tutto parte dall’accoltellamento mortale di tre ragazzine in una scuola di Southport; l’autore della strage, un 17enne nato in Galles da genitori ruandesi di confessione cristiana, si trasforma in un immigrato musulmano che avrebbe assassinato le piccole per motivi religiosi. E non è servito a nulla che le autorità e i principali media nazionali abbiano smentito categoricamente questa versione. L’effetto domino è stato inarrestabile con migliaia di persone scese in piazza in cerca di immigrati su cui vendicarsi ed uno schieramento di polizia e militari senza precedenti.

Tra le conseguenze delle sommosse, una pericolosa torsione dello Stato di diritto con governo del laburista Starmer che ha risposto in modo durissimo contro i manifestanti, a cominciare dalle parole che gli ha rivolto in diretta tv: «Ve ne pentirete amaramente!».

La macchina della giustizia in questi giorni si sta rivelando implacabile con condanne rapidissime ed esemplari, senza possibilità di ottenere libertà condizionate tramite cauzione, non solo tra chi ha partecipato attivamente agli scontri ma anche tra chi si è limitato ad assistere alle manifestazioni o a lanciare slogan.

Il giro di vite anche sui social, con decine di persone condannate a oltre un anno di reclusione per “incitamento all’odio”. E come spiegano a Scotland Yard, non è che l’inizio: nel corso delle settimane altre centinaia, se non migliaia di persone verranno identificate e portate davanti ai giudici.

È comprensibile che Starmer e il suo esecutivo vogliano reagire con forza all’emergenza, come ha fatto d’altra la società civile britannica scesa in piazza per denunciare le violenze razziste e sostenere le comunità straniere, ma il pugno duro mostrato da Downing street rischia di fratturare ancora di più una nazione incattivita dalla mancanza di fiducia per il futuro, dove sta andando in scena una cupa e disperata guerra tra poveri. La strada della repressione potrà senz’altro piegare le rivolte e riempire le prigioni del regno. Ma non servirà a far uscire la Gran Bretagna dalla crisi sociale e culturale in cui è piombata dopo la sciagurata Brexit.