"Il destino dell’Italia è legato al superamento delle frontiere e non al loro ripristino", aveva detto qualche giorno fa il Presidente Mattarella beccandosi, via Twitter, una serie di insulti più o meno scomposti da Salvini.L’altro ieri, incontrando l’omologo tedesco Gauck, l’inquilino del Colle più alto ha ulteriormente precisato: "Non basteranno le barriere a proteggerci".Potremmo dunque dire "in VinItaly veritas" plaudendo ad un concetto semplice ed incontrovertibile come quello pronunciato dal nostro Presidente della Repubblica: nessun muro può fermare quella dolente è disperata marea umana che guarda all’Europa come l’unico approdo possibile per scappare dalla carestia, dalla povertà, dalla persecuzione politica.Questo, infatti, è il cuore del problema che i miopi politici europei continuano a non voler vedere e che è direttamente collegato all’attesa esplosione demografica che porterà il continente africano, nel giro di pochi anni, a raggiungere una popolazione di due miliardi di persone.Davvero qualcuno pensa che da una delle aree più povere e insicure del pianeta ci si possa "difendere" alzando muri o erigendo pittoresche barriere di filospinato quando, via mare o via terra, migliaia di giovani madri sono disposte a far morire i propri figli, appena nati o piccolissimi, per dargli almeno una possibilità di sopravvivere in un mondo migliore?Il "muro" che si sta costruendo al Brennero ci colpisce di più di quelli già innalzati in Ungheria, in Bulgaria o in Macedonia solo perché siamo in tanti ad aver varcato le Alpi transitando per quel passo naturale, così suggestivo non solo per la sua bellezza ma anche per il carico di "storia patria" che immediatamente evoca. Ma è proprio il valore simbolico di questo muro a scandalizzarci - dal punto di vista pratico non saranno certo duecentocinquanta metri di filospinato su quattrocentotrenta chilometri di confine a rappresentare una credibile barriera - perché rappresenta l’ennesima resa al buon senso, l’ulteriore e forse definitiva perdita di credibilità - già fortemente compromessa dall’accordo con la Turchia sugli immigrati - di quelle Istituzioni europee rimaste ormai soltanto a guardia di una arcigna quanto "stupida" politica di austerità.Vienna giustifica questa sua decisione con la previsione, per il momento solo allarmistica, di uno sbarco in massa di profughi sulle coste italiane.Qualche generale, smanioso di mettere gli stivali sulla sabbia libica, avvalora la teoria di centinaia di migliaia di persone in fuga da Tripoli e da Tobruk, ma l’unica statistica attendibile dovrebbe preoccupare Roma piuttosto che la Capitale austriaca.Sono infatti quattro volte di più i profughi "bloccati" in transito dall’Austria verso l’Italia che non viceversa e non superano le novantamila unità i rifugiati accolti dai nostri amati vicini nell’anno appena trascorso; appena l’uno per cento della popolazione.Se pensiamo che in Libano sono attualmente circa due milioni i profughi (cioè il quarantuno per cento degli abitanti del Paese del Cedro), capiamo bene in quale direzione dovrebbero essere rivolte le nostre attenzioni e le nostre preoccupazioni.In Canada sta per essere pubblicato uno studio di una ricercatrice dell’Università del Quebec che si è messa a contare i "muri" presenti nel mondo; sembra che, rispetto ai quindici del 1989, siamo giunti, passando dall’India al Marocco, dal Messico a Israele, a oltre sessantacinque.Una scrittrice a me molto cara, Marguerite Yourcenar, fa fare all’Imperatore Adriano, nelle sue "Memorie", questa affermazione: «Costruire un porto significa fecondare la bellezza di un golfo. Fondare biblioteche, é come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire». Ecco, «l’inverno dell’Europa» che la primavera di Berlino aveva spazzato via sta tornando, cupo e minaccioso con il suo carico di odiosa xenofobia, di miope indifferenza verso l’insopportabile sofferenza di milioni di persone. Qualche giorno fa ho fotografato in una discarica di Berlino un lungo pezzo di quel muro sul quale si erano immolati tanti giovani europei, utilizzato per contenere i rifiuti. Ho subito pensato che quello, in fin dei conti, fosse il posto giusto per consegnare all’immondizia della storia un simbolo di odio e di separazione. Ma, come diceva Gramsci, mi sono resa conto, di fronte al "muro" del Brennero, che "la storia insegna, ma non ha scolari".